“Superare l’ideologia del dominio” Pubblicato su “www.bioveganblog.it
SUPERARE L’IDEOLOGIA DEL DOMINIO
Non me ne abbiano gli amici animalisti/vegani/antispecisti, ma anche loro devono fare lo sforzo di capire che le categorie a cui con comprensibile orgoglio sentono di appartenere sono categorie di derivazione antropocentrica. Sono cioè nate come risposta ad un orribile sfruttamento animale che deriva da una visione del mondo in cui l’umano si pone al centro. L’animalista, il vegano, l’antispecista, rifiutano giustamente questa visione, una divisione che poggia le sue basi su una separazione (quella tra umani e animali) del tutto priva di senso logico ed indifendibile anche da un punto di vista filosofico. Succede però che essi ripropongono la stessa divisione tra umani e animali (questa volta al contrario e comunque giustificati dal fatto che la operano in difesa degli animali) e soprattutto tra viventi animali e viventi non animali (le specie vegetali) e ancor più con quelli che considera non viventi (un lago, un albero, una montagna). Rimangono cioè essenzialmente all’interno di una logica dualistica che non ha ragione di essere; una dicotomia ed una contrapposizione che non esistono in Natura. Se l’umano considera tutto in funzione dell’essere umano, l’antispecista considera tutto in difesa delle specie animali. Rimane, al fondo, un atteggiamento di separazione e divisione.
Con piena ragione gli antispecisti rifiutano l’ideologia di dominio che la specie umana esercita su tutte le altre. A mio modo di vedere è necessario fare un passo oltre per capire che il problema non è tanto (o solo) il dominio dell’umano sulle altre specie animali, quanto l’ideologia del dominio in sé. E’ infatti questa che ha portato allo sfruttamento e alla mercificazione, non solo animale ma del pianeta stesso. La questione quindi non è tanto non sottomettere e non sfruttare gli animali quanto non sottomettere e non sfruttare. Con l’avvento della civiltà abbiamo iniziato sottomettendo e sfruttando la terra (agricoltura), poi gli animali (allevamento), poi le donne (società patriarcale) e poi noi stessi umani (dalla schiavitù in catene a quella delle fabbriche e della vita moderna). Ed ognuna di esse è una conseguenza logica ed inevitabile dell’altra. E’ come scandalizzarsi della bomba atomica dopo aver inventato la polvere da sparo. E’ un certo tipo di mentalità che ha inventato la polvere da sparo e i primi archibugi e da lì, passo dopo passo, siamo arrivati all’atomica. Stesso discorso vale per l’ideologia del dominio, dello sfruttamento, della superiorità.
Il fatto che noi umani siamo diversi non significa affatto che siamo superiori ma semplicemente che ci relazioniamo diversamente con la Vita. Il problema dunque è la mentalità con cui “viviamo”, tutto il resto, incluso l’orrore dello sfruttamento animale, una conseguenza di questa mentalità. Questo approccio, profondamente connaturato alla nostra cultura, si propone dunque di salvare gli animali “perché soffrono”, o perché “anche loro hanno diritti”. Tutto giustissimo evidentemente. Ma se accettiamo una mentalità del dominio di qualcuno su qualcun altro che non sia animale (specie vegetali) o su qualcosa (il lago, l’albero, la montagna), dobbiamo allora anche accettare il dominio sugli animali. Non si può considerare un albero una risorsa e scandalizzarsi se qualcun altro considera risorsa una mucca. Il problema è un certo tipo di mentalità che porta ad una visione mercificata della Vita, la qual cosa porta a considerare tutto risorsa e ne giustifica lo sfruttamento in quanto tale. Questo è così vero che, con coerenza estrema, l’essere umano è arrivato a considerare risorsa anche se stesso: ci autodefiniamo infatti “risorse umane” e non proviamo neppure nessun orrore.
Una visione diversa, naturale, e profondamente rispettosa dell’ambiente che ci dà la Vita (ambiente del quale fanno parte anche gli animali e dunque rispettosa anche di essi) parte invece da presupposti diversi. E’ quella visione appartenente ai popoli nativi ed essa dà valore a qualunque entità naturale, vivente e non, che ha dunque pari diritto ad una sua qualche forma di vita, ad una sua qualche forma di “realizzazione”. E’ una visione a sfondo panteista e riconosce pari valore a tutto ciò che fa parte della Vita (umani, animali, un albero, un fiume, il vento). Questa visione non solo non contrappone gli umani agli altri viventi animali ma non vede contrapposizione e basta. Prevede cioè una integrazione olistica (fisica e spirituale) di tutto ciò che è parte del grande albero della Vita. E’ una visione del mondo a sfondo ecocentrico e non antropocentrico, e in quell’ecocentrico rientrano tutti e tutto senza nessuna distinzione da operare (tra viventi, e/o tra viventi e non viventi). La visione animalista classica, ancorché degna di merito se non altro per le buone intenzioni che la muovono, non va invece ad intaccare il problema di fondo: e cioè quello della “separazione” in sé. E quando inizi a “separare” è facile passare da una visione ecocentrica (in cui tutti e tutto hanno un posto) ad una antropocentrica ad una egocentrica senza neppure rendersene conto.
In definitiva il dramma degli animali, dramma che abbiamo a cuore e che vogliamo evitare o perlomeno ridurre il più possibile, è inevitabile con le premesse culturali dell’Occidente e adoperarsi per “difenderli”, rimanendo sempre all’interno dello stesso paradigma di pensiero, non può, a mio avviso, portare a nessun risultato profondamente efficace (il che, non creiamo fraintendimenti, non significa che non sia giusto e doveroso comunque adoperarsi in tal senso).
In questa ottica credo che l’azione più opportuna ed utile (oltre ad impegnarsi nell’immediato per migliorare le condizioni di vita degli animali passando ad esempio a scelte alimentari quali quella vegana) sia adoperarsi perché un numero crescente di persone possa iniziare a mettere in dubbio idee che oggi vengono date per scontate (e cioè quella della sopraffazione, del dominio, dello sfruttamento) ma che in realtà non hanno alcun valore in sé ma che sono considerate ovvie solo perché di fatto imposte dalla cultura dominante. Da una visione diversa deriveranno comportamenti diversi e scelte diverse e forse potremo anche sperare in un cambio di paradigma che porti a qualcosa di migliore per tutti. Credo che i cambiamenti portati da questo cambio “filosofico” di visione della Vita siano meno appariscenti ma più efficaci. Il che, voglio sottolineare ancora, non significa non impegnarsi e “lottare” per migliorare le condizioni di vita degli animali anche secondo le modalità già in atto. Una integrazione delle due è probabilmente la cosa migliore.