VIVERE A IMPATTO ZERO – Intervista a Colin Beavan

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Pubblicato Terra Nuova, Dicembre 2010

 Intervista a Colin Beavan, autore del best seller “No Impact Man”, che con la sua famiglia ha vissuto per un anno a impatto zero a Manhattan.

Un uomo in crisi con il mondo che lo circonda, preoccupato per il riscaldamento globale, i disastri ambientali in genere e lo sfruttamento delle risorse, ma anche per la profonda infelicità e insoddisfazione che attanaglia la moderna società occidentale, decide di rivoluzionare la propria vita e quella della sua famiglia. Negli Stati Uniti è diventato una celebrità e il suo messaggio è una esortazione all’azione: “poiché siamo parte del problema, siamo anche parte della soluzione”.

Colin, anzitutto vorrei chiederti: chi è “No Impact Man”?  Un po’ di cose. Uno scrittore, un relatore, un insegnate e un attivista sociale e ambientale, il cui interess eprincipaleè aiutaare la gente a vivere meglio, prendendosi cura l’un l’altro e non facendo danni al pianeta.

E chi era Colin Beavan prima di diventare “No Impact Man”? Un autore di libri di storia. Anche prima volevo salvare il mondo, ma non facevo nulla per salvarlo.

C’è stato un punto di svolta nella tua vita? Da ventenne ho lavorato per associazioni no-profit. A 30 anni ho iniziato a scrivere, ma non riuscivo a liberarmi del pensiero che non fosse di alcuna utilità nella risoluzione dei problemi del mondo. Nel 2006 non ce l’ho fatta più. Il riscaldamento globale era in costante aumento e gli Stati Uniti erano in guerra con L’iraq per accappararsi il petrolio. Uccidere e morire per difendere uno stile di vita insostenibile da un punto di vista ambientale e che per di più non ci rendeva neppure felici era troppo per me. Ho capito che dovevo trovare un modo di fare qualcosa e coinvolgere altra gente. La crisi è stata anche professionale. Volevo che il mio lavoro di scrittore servisse a creare consapevolezza ambientale. Quindi dissi al mio agente che avrei scritto un libro sui problemi ambientali e sul riscaldamento globale. Lui mi disse che non avevo alcuna qualifica per farlo. Chi lo avrebbe letto? Allora ho pensato di diventare “No Impact Man” per un anno e poi raccontare la mia esperienza in un libro.

Quando hai iniziato avevi pianificato tutto nei dettagli? Non esattamente. Ho pensato che fosse più interessante scoprire poco alla volta come ridurre al massimo il nostro impatto sul pianeta. Non volevo essere un esperto, volevo essere una persona qualunque che con il cuore fa del suo meglio per raggiungere l’obiettivo. Anche perché era importante che chiunque potesse identificarsi con me e con ciò che ho fatto. Per quanto riguarda mia moglie, l’entusiasmo iniziale non le ha permesso di vedere che la nostra vita sarebbe stata completamente stravolta dall’esperimento. La difficoltà è stata principalmente nel cambiare le vecchie abitudini e crearsene di nuove. Ma quando mangiare in maniera più sana ti fa stare meglio e ti ammali di meno, quando fai più esercizio fisico e ti senti più in forma, quando hai più tempo per  te stesso, per i tuoi cari e per i tuoi amici, il tutto vivendo in maniera più sostenibile per il pianeta, be’, qualcosa scatta nella tua testa. In positivo. E amici e familiari ci hanno incoraggiato.

Come era strutturato il vostro esperimento? Ci sono state diverse fasi: ridurre a zero i rifiuti, eliminare le emissioni nei trasporti, mangiare in maniera sostenibile (stagionale, locale, biologico e cucinare il cibo), abbandonare lo stile di vita consumista, non consumare elettricità e risparmiare acqua.

Molta gente pensa che vivere con meno sia una rinuncia… La gente teme che la rinuncia significhi infelicità. Ma oggigiorno è l’esatto contrario, almeno per il mondo occidentale. Noi non siamo infelici perché non abbiamo o abbiamo poco. Siamo infelici perché abbiamo troppo.

Gli obiettivi sono stati raggiunti? Direi di sì. E’ chiaro che è impossibile vivere completamente a impatto zero. Però abbiamo dimostrato come anche in una città sia possibile attuare sili di vita molto meno impattanti di quelli che conduciamo abitualmente.

Quali difficoltà avete incontrato?  I problemi concreti, pratici, si risolvono sempre. Non vai al supermercato e vai al mercato contadino. Non usi la luce e ceni a lume di candela. Non usi l’auto o il taxi e prendi la bici o il treno. La difficoltà più grande è stata nel rapporto fra me e Michelle. Improvvisamente abbiamo abbandonato le regole di vita che ci eravamo dati nel corso degli anni e abbiamo dovuto inventarcene di nuove. Non è stato facile, si sono create molte tensioni, ma questo ci ha fatto crescre molto.

Mi puoi raccontare qualche aneddoto curioso del vostro anno No Impact? Potrei raccontartene decine e decine. Ma uno simpatico, che si ripete costantemente, è vedere la faccia dei camerieri quando siedo ad un ristorante e vedono che ho portato il mio tovagliolo di stoffa da casa per non usare quelli dicarta.

Ho letto che hai avuto problemi con i media… Sì, ho avuto grosse difficoltà a gestire in maniera equilibrata i rapporti con i media durante e dopo l’anno No Impact. All’improvviso mi chiamavano dal Giappone, dall’Australia, da tutto il mondo per domandarmi come salvare il pianeta. All’inizio dicevo quello che avevo fatto, raccontavo la mia esperienza. Davo molti consigli pratici su come ridurre la plastica, vivere senza elettrodomestici eccetera. Ma poi ho capito che tutti quei consigli pratici non servivano granché. E allora ho iniziato a  dire che dobbiamo trattare il prossimo con amore, che le nostre azioni devono seguire un senso di responsabilità per il prossimo e non per il proprio tornaconto personale. Ovviamente è fondamentale scegliere di vivere una vita semplice e credo che sia anche importante essere coinvolti con le istituzioni e le associazioni che operano sul territporio in cui vviamo. Dobbiamo riscoprire il senso della comunità.

A che livello il tuo progetto ha toccato la vita di altre persone? Pensa che decine di migliaia di persone ci hanno contattato su noimpactproject.org cercando metodi e consigli per ridurre il loro impatto sul pianeta. C’è un sacco di gente che vuole fare qualcosa. Bisogna muoversi in prima persona. Crederci, lottare. Non sopporto chi si lamenta e basta. Sarà perché io l’ho fatto per tanto tempo!

Qual’è il primo passo per condurre uno stile di vita sostenibile? Credo sia fondamentale capire che poiché ognuno di noi è parte del problema è anche parte della soluzione. Ognuno deve promettere a se stesso, e magari anche ai propri figli, che troverà modi di vita più sostenibili. Qualcuno diventerà un attivista politico. Altri concentreranno i propri sforzi nel cambiare la propria vita e nell’aiutare coloro che vogliono fare altrettanto. La situazione è drammatica, ma è meglio fare qualcosa piuttosto che nulla. Bisogna anche fare pressioni sui governi, indurli a scegliere politiche di riduzione dei consumi e di sostenibilità nella produzione di energia. Ma se questa richiesta non parte da noi, se non siamo noi cittadini a dare l’esempio per primi, perché mai i governi dovrebbero cambaire?

Avete dimostrato coraggio cambiando stile di vita… Sì, ma la cosa più soddisfacente è stata, dopo poche settimane che il nostro esperimento era iniziato, capire che non solo noi stavamo cambiando stile di vita, ma che lo stile di vita stava cambiando noi. Quando siamo attaccati alle cose, ai beni materiali, tralasciamo altri aspetti della nostra esistenza, aspetti molto importanti quali il rispetto del prossimo, il tempo da dedicare ai propri cari, il rispetto dell’ambiente. L’attuale sistema non fa vivere bene nessuno. Non fa vivere bene i paesi del primo mondo che sono stressati e infelici, e non fa vivere bene quelli del terzo mondo, che sono sfruttati, trattati da schiavi. Senza dimenticare lo spettro della fame, che tocca oltre il 20% della popolazione mondiale. Abbiamo bisogno di vivere più localmente, di cosumare cibo locale e di stagione. di consumare molto meno e di dare i nostri soldi agli esercizi commerciali della nostra città e non ai grandi gruppi multinazionali.

Quale consiglio vuoi dare ai lettori di Terra Nuova? Fare lo sforzo di capire che assumersi la responsabilità del pianeta, nell’eserciizo delle nostre azioni quotidiane, significa allo stesso tempo assumersi la responsabilità delle nostre vite. Riuscire a sviluppare uno stile di vita che ci gratifichi è infinitamente più soddisfacente che andare a fare shopping. Lo ripeto, è un esercizio quotidiano, una strada da percorrere. E più diventiamo, più saremo in grado di portare dei cambiamenti positivi. Io ci credo. Anzi, crediamoci assieme.

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