I tanti problemi della tecnologia

In linea generale, quando si parla di tecnologia, l’opinione condivisa è che essa non sia di per sé positiva o negativa, ma “dipende dall’uso che se ne fa”. Non è assolutamente vero. Ora, è evidente che della tecnologia se ne possa fare un uso più o meno idiota, più o meno distruttivo e via dicendo. Un’ambulanza non è una bomba ovviamente. Se non altro ci sono delle buone intenzioni (anche se pure le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni). La questione non è però questa. Quando si muovono critiche alla tecnologia è tutto un levate di scudi per difenderla, e questa difesa passa per l’evidenziazione dei suoi lati “positivi”; lati “positivi” che ci sono ovviamente. Dal momento infatti che non esistono nulla al mondo totalmente positivo o totalmente negativo, così anche la tecnologia ha i suoi aspetti positivi. Il punto però non è questo. Se si vuole fare una critica seria e radicale (nel senso letterale del termine di andare alla radice) della tecnologia, la questione non sarà evidenziarne gli aspetti positivi o negativi, ma analizzarla per capirla, indagarla per comprendere da cosa muove, coglierne le sue dinamiche, sviscerarne gli aspetti più reconditi e magari apparentemente innocenti, e infine cogliere il perché delle sue inevitabili conseguenze. Dopodiché si potrà procedere a una valutazione il più oggettiva possibile dei suoi pro e dei suoi contro e “decidere” se la tecnologia è positiva o negativa; intendo dire la tecnologia in sé e non le sue infinite applicazioni prese singolarmente (“l’ambulanza è bene, la bomba è male”).

La questione di fondo a questo punto non sarà più affermare che l’auto a gasolio è negativa ma quella elettrica positiva (che comunque è negativa quanto quella a gasolio). La questione di fondo diventerà un’altra: il prezzo che paghiamo alla tecnologia (così come all’economia e a tutto il resto) è un prezzo accettabile oppure no? Il gioco vale la candela oppure no? Secondo me assolutamente no.

Il primo, vero problema della tecnologia è che essa crea un mondo dal quale noi dipendiamo sempre più passivamente, e più andiamo avanti più ne dipendiamo. La tecnologia, così come l’economia, così come la medicina, ecc. prima “crea” il problema, poi ci vende i suoi rimedi. Per intenderci, questo mondo ha creato una dipendenza pressoché assoluta dall’automobile. Il problema non è però produrre automobili che inquinano di meno (a parte il fatto che non esiste assolutamente nulla che inquina “di meno”, perché l’entropia generata dall’utilizzo di energiasi manifesta sempre e comunque generando nel sistema-Terra quello che la fisica chiama “disordine”) ma “inventarsi” o “ritornare” a stili di vita che ci permettano di condurre esistenze più sane, senza essere imbottigliati e stressati in traffico, senza dover guidare per lavoro 8 ore al giorno ecc.

Le caratteristiche della tecnologia sono diametralmente opposte a quelle dell’essere umano. Una tra le tante è ad esempio la velocità. Ogni innovazione tecnologica ci promette di regalarci tempo (l’unica, vera ricchezza. E difatti nel mondo moderno nessuno ha tempo da scialare, a certificare che siamo dei poveracci) ma nella realtà si risolve nel suo esatto contrario. Siamo noi umani a doverci adattare alla velocità a cui la tecnologia ci costringe, e non il contrario. Sintetizza con efficacia il filosofo Umberto Galimberti: “Un mondo tecnologico crea un mondo con determinate caratteristiche, mondo che non possiamo evitare di abitare e che inevitabilmente ci cambia”. Il fatto che la tecnologia  ci abbia ridotto otto ore al giorno (per lavoro) più altre ore (per “svago”) con il culo attaccato ad una sedia e dietro ad uno schermo (poi ci si sorprende che siamo sempre più grassi, con problemi agli occhi, alla schiena, di concentrazione, di riposo ecc.), dovrebbe rendere la questione abbastanza chiaramente.

Ma la cosa non vale solo da un punto di vista fisico quanto soprattutto mentale. Non ce ne rendiamo conto ma oramai pensiamo e agiamo tutti come delle macchine. Ci baciamo, tocchiamo, accarezziamo, guardiamo, ascoltiamo sempre meno. E’ gravissimo ma non lo capiamo. La tecnologia è di per sé è un’astrazione e più prende il sopravvento nel mondo che viviamo, più ci costringe a diventare come lei (astratti) e più ci espelle da noi stessi. Per questo, tra le altre cose, stiamo male. Bisognerà pur domandarsi perché da noi abbondano suicidi, stress, depressione, mentre queste cose tra i popoli della Natura (che non hanno alcuna tecnologia) non esistono? O no? O vogliamo far finta che va tutto bene?

C’è dell’altro. La tecnologia (macchine, computer, you name it) ci fa disimparare a fare le cose con le nostre mani e con la nostra testa rendendoci con ciò progressivamente sempre più dipendenti da essa. La tecnologia ci espropria delle nostre qualità e capacità. Noi oggi dipendiamo totalmente da quell’universo tecnologico di cui siamo così entusiasti. Se qualcuno stacca la spina di “qualcosa”, di “qualunque cosa”, siamo tutti morti. Quindi, esattamente come l’economia ci ha reso totalmente dipendenti da essa e in tempi di “crisi” ci ritroviamo alla sua mercé (o meglio alla mercé di chi la controlla), la stessa cosa succede con la tecnologia. Per questo siamo sempre più deboli, sempre più insicuri, sempre più impauriti; perché intimamente sappiamo perfettamente che le nostre vite non dipendono più da noi stessi, dalle nostre capacità, dai rapporti che abbiamo creato con gli altri, bensì da un universo economico e tecnologico di cui in realtà non sappiamo assolutamente nulla e soprattutto sul quale non abbiamo alcun controllo. E’ davvero un ottimo motivo per avere paura, altroché la “crisi”.

Andiamo avanti. Di questi tempi non si fa altro che parlare di crescita per uscire dalla “crisi”. Come sostengo oramai da tempo, la tecnologia è responsabile, quantomeno in parte, della perdita di lavoro occupazionale, ragion per cui gridare alla crescita economica per far riprendere il ciclo lavorativo è completamente insensato. Il progresso tecnologico in generale e la rivoluzione digitale in particolare, tolgono posti di lavoro, e questo dovrebbe essere assolutamente ovvio anche se nessuno o quasi  sembra rendersene conto. Eppure lo avevano capito benissimo già i luddisti che rompevano le macchine ai tempi della Rivoluzione Industriale. Un libro uscito recentemente negli stati Uniti, “The second machine age” (La seconda età delle macchine, autori Erik Bryniolfsson e Andrew McAfee), sostiene esattamente questa tesi. I due portano ad esempio il caso della Kodak, azienda fondata nel 1880 e in grado di dare lavoro, nel suo momento di massimo splendore, a 150.000 persone (più tutti i lavoratori dell’indotto esterno). Per contro, dicono i due accademici, Instagram (un’invenzione idiota come tutto quello che gli sta vicino e che certifica che questa umanità non merita nemmeno di essere salvata), nata nel 2010 e lanciata da solo 4 persone, è stata venduta a Facebook appena due anni dopo per 1 miliardo di dollari. E Facebook (non Instagram), pur avendo un valore infinitamente superiore a quello di Kodak, impiega solo 5000 persone.

Ma non c’è bisogno dei due accademici per arrivare a capire ciò che è assolutamente intuitivo e cioè che la tecnologia toglie posti di lavoro e non li crea (o più precisamente, ne toglie molti di più di quanti ne crea). Quindi la tecnologia, rappresenta uno, certamente non il solo, dei problemi della “crisi”. L’economia del resto, e la cosa è anche ovvia, usa la tecnologia per l’eliminazione dei posti di lavoro (che è una delle strade più sicure per generare utili), il che dimostra ancora una volta che l’economia non è al nostro servizio ma noi al suo. Esempi banalissimi, già vecchi di vent’anni, sono l’automazione delle casse al supermercato o ai caselli autostradali. E domani succederà al commercialista, al notaio, all’avvocato, al farmacista, all’impiegato di banca (tanto per citare occupazioni ancora al riparo dello tsunami tecnologico-economico). Che ne è stato della promessa che la tecnologia avrebbe liberato l’essere umano dal lavoro e dalla fatica e al tempo stesso gli avrebbe dato ricchezza?

Come conseguenza di quanto sopra la tecnologia concorre inevitabilmente a generare diseguaglianza sociale, accentrando “ricchezza” nelle mani di pochi e lasciando contestualmente i molti in braghe di tela. Pochi programmatori possono creare aziende in grado di fatturare cifre astronomiche, cifre che però vengono drenate da altri settori molto più vitali e necessari per l’esistenza umana. Stanno scomparendo a spron battuto mestieri “reali” (che in quanto tali avevano anche un senso esistenziale, e non mi pare poco) e li abbiamo sostituiti con delle macchine prima e con i computer poi (la “rivoluzione digitale”). Certo, è molto possibile e direi anzi probabile, che una manovalanza di basso livello come quella che ci fa comodo sfruttare oggi in Cina (o nel sud-est asiatico o dove), sarà necessaria anche da noi, il che significa che a breve ci sostituiremo ai cinesi o a chi per loro, direttamente qua a casa nostra.

Nonostante quanto sopra c’è l’illusione generalizzata secondo cui, addirittura e nientepopodimeno che, la tecnologia ci “salverà”. Una tecnologia “sostenibile”, s’intende. Scrive l’amico Enrico Manicardi: “Sostenibile per chi? Non certo per le migliaia di persone del terzo mondo che vengono costrette a lavorare 16/18 ore al giorno nelle miniere di silicio, coltan, bauxite, terre rare, ecc. La questione è molto semplice: per far funzionare un pannello solare, ad esempio, ci vuole (tra l’altro) il silicio, e per fare incetta di questo metalloide occorre estrarlo a forza dalla Terra; migliaia di uomini, donne, bambini ricattati dai meccanismi impietosi dell’economia vengono ancora oggi schiavizzati a questo scopo e la Terra viene martoriata da questi scavi e da queste estrazioni. Allora, mi chiedo: che tipo di mondo vogliamo con le nostre rivendicazioni ecologiste? Vogliamo un mondo in cui poche centinaia di migliaia di Occidentali possano far mostra del loro finto ambientalismo da réclame basato sulla presenza di innovazioni costruite sulla pelle di migliaia di poveri lavoratori e bambini schiavizzati? Se è questo il “nuovo” mondo che vogliamo, io non ci sto! Questo mondo “verde” è assolutamente identico a quello grigio in cui già vivo”. Il tutto per non parlare della devastazione di territori per estrarre le materie prima necessarie a qualunque produzione, alla conseguente perdita di biodiversità, ai trasporti, alle lavorazioni, agli scarti di lavorazione, ai consumi di energia e acqua, al fatto che qualunque “prodotto” a fine ciclo diventa un rifiuto che inquina terra, aria, mari, fiumi, laghi. Abbiamo letteralmente distrutto il mondo, lo abbiamo reso invivibile, eppure lo vogliamo salvare con quegli stessi strumenti, con quello stesso schema di pensiero (perché prima di tutto la tecnologia è uno schema di pensiero) con cui lo abbiamo distrutto. Ditemi voi se di questo schema di pensiero non siamo vittime?

Ma il vero dramma non è tutto ciò. Davvero non lo è. Il dramma non è la tecnologia in sé. Il dramma è che pensiamo sia essa a poterci “salvare”, il dramma è l’entusiasmo con cui la abbracciamo, il dramma è che gli diciamo “grazie”. Noi non viviamo grazie alla tecnologia ma nonostante questa (e nonostante tutto il resto, tra cui in primis l’economia, che è un’altra astrazione, esattamente come la tecnologia). Capirlo, e quindi smettere di ringraziarla, è il primo indispensabile passo per imboccare la direzione giusta. E questo dipende da noi, non dalla tecnologia. Bisogna convincersene.

Andrea Bizzocchi                                                                       9 aprile 2014

PS: Spegnere il computer dopo aver letto questo articolo e andare a fare una passeggiata, da soli o mano nella mano con la persona a cui vogliamo bene, con un amico con il quale possiamo parlare guardandolo negli occhi e non attraverso lo schermo di un qualunque tecnogingillo idiota, rappresenta già un cambio di direzione. Da qualche parte bisognerà pur iniziare.

Il debito pubblico, gli interessi, le bugie e Matteo Renzi

Diciamo subito le cose come stanno. Il problema del debito pubblico italiano non deriva da un eccesso di spesa, sprechi e ruberie assortite, bensì unicamente dagli interessi che lo Stato italiano paga per finanziarsi. Va da sé che spese, sprechi e ruberie assortite concorrono a peggiorare la situazione, ma non sono il problema di fondo. Perché allora si parla di tutto fuorché del problema di fondo? Perché del problema di fondo non si vuol parlare, onde lasciare le cose come stanno.

Come riporto in “E io non pago”, l’Italia, nel trentennio che va dal 1980 al 2011 ha avuto un avanzo primario pari a 484 miliardi di euro. Nello stesso periodo ha pagato 2141 miliardi di euro di interessi. La differenza (pari a 1897 miliardi) rappresentava il debito pubblico italiano nel 2012, debito che oggi ha superato i 2100 miliardi. Questo debito genera interessi annuali per circa 70-80 miliardi di euro. Gli interessi che l’Italia paga, tecnicamente, sarebbero (sono) definibili come interessi da anatocismo, cioè noi paghiamo gli interessi sugli interessi. E’ un circolo senza fine dal quale il paese non può uscire (del resto i debiti sono concepiti all’uopo) e se mai fosse si ritroverebbe comunque spolpato all’osso e dunque senza alcuna possibilità di ripresa. Dico spolpato perché non avremo più nessuna base, cioè nessuna risorsa reale, su cui ripartire. Non credo comunque che questo succederà dal momento che i debiti sono sempre concepiti per non essere estinguibili onde tenere un paese alla mercé delle oligarchie finanziarie che tirano i fili del gioco del denaro.

L’immagine venduta dicevamo, è però che l’Italia si trova nella situazione in cui si trova perché “spende troppo” e quindi ha un deficit di bilancio. Questa immagine non è solo errata ma volutamente fuorviante. Nonostante la nostra situazione sia drammatica, paradossalmente l’Italia è il paese al mondo con il surplus di bilancio più alto. Questo, chiariamolo subito, non è che sia un bene in sé, perché il nostro surplus è dovuto principalmente ad una tassazione altissima che concorso all’affossamento del paese. Resta il fatto che l’Italia in virtù di questa tassazione altissima ed al conseguente surplus di bilancio che conosce da oltre vent’anni, dovrebbe perlomeno non avere il problema del debito. Che invece c’è, eccome! In breve, gli interessi si rincorrono e le politiche di austerità non servono a nulla se non, appunto, a spolpare il paese. I debiti, del resto, servono a questo: drenare ricchezza reale dalle popolazioni e quindi impoverirle e controllarle.

Il debito pubblico italiano è esploso tra il 1982 e il 1993 quando la spesa per interessi passò da 35 a 156 miliardi. La ragione di questo è il famoso “divorzio” tra la Banca d’Italia e il Tesoro. Il fatto fondamentale del “divorzio” fu il sollevamento per la Banca d’Italia dell’obbligo di comprare il debito pubblico (cioè i titoli di Stato). Da allora l’Italia si è finanziata sul mercato, cioè abbiamo preso denaro a prestito a tassi di interesse dettati dal mercato finanziario, mercato finanziario che ovviamente fa i suoi interessi. Il mercato finanziario, oltretutto, è principalmente estero (in “E io non pago” riporto la lista dei 20 “specialisti”, di cui 18 esteri appunto, autorizzati dal Tesoro italiano a compare i nostri titoli di Stato). Prima l’Italia si finanziava a costo zero attraverso la Banca d’Italia. Spiego il tutto nei dettagli nel nuovo libro “Euroballe”.

Questo antefatto, che è la vera causa della situazione in cui ci troviamo, non è mai stato menzionato da nessun media di regime, e men che meno dalla Troika e dai governi (Monti, Letta e anche Renzi) che si sono succeduti dall’esplosione della crisi del debito. Affermare dunque che i media, la Troika e i governi sono tutti corresponsabili e parte del piano di spolpamento, non è fare affermazioni generiche e complottiste, cosa di cui qualche lettore mi  accusa, bensì semplicemente affermare la realtà dei fatti. Oppure queste cose non le sanno?

La Bce, a differenza della Fed, della Banca centrale del Giappone e altre, non può acquistare i titoli di Stato (l’Unione europea glielo vieta, e già questo ci dice molto chiaramente a cosa serve, tra le altre cose, la UE). Però la Bce questi soldi li può prestare alle banche. La Bce, dall’inizio della crisi ha infatti prestato alle banche circa 3000 miliardi di euro a tassi di interesse vicini allo zero, banche che però non hanno riversato questi soldini nell’economia reale (e anche comprensibilmente dal loro punto di vista). Cosa ci hanno fatto allora le banche con questi soldi? Ci  hanno acquistato, indovinate cosa, titoli di Stato che rendevano il 4% e anche oltre. Che beneficio ne hanno tratto i paesi da queste emissioni di denaro della Ue? Nessuna, è ovvio. I beneficiari sono stati unicamente le banche. Lo schema è chiarissimo.

Tutto ciò premesso, è evidente che se non si esce quanto prima dall’Europa e dall’euro, e contestualmente non si eliminano i circa 80 miliardi di interessi annui che stiamo pagando oggi, l’Italia, oltre a non avere un presente, non avrà neppure un futuro. L’uscita dall’euro, in aggiunta alle positive conseguenze concrete e immediate (se non altro in termini di eliminazione-riduzione degli interessi che paghiamo), avrebbe anche un plus, un bonus aggiuntivo per così dire, che sarebbe quello del recupero della fiducia del mercato finanziario nel sistema Italia (il mercato finanziario recupererebbe fiducia per il semplice motivo che lo Stato italiano avrebbe di nuovo accesso diretto alla liquidità).

Proprio per evitare tutto ciò, io credo, è stato fatto fuori Letta (che si sapeva non poteva durare visto che era stato imposto così come il suo predecessore Monti, e quindi si sarebbe arrivati presto alle elezioni) ed è stato messo al suo posto, l’alterego povero di Obama, Matteo Renzi, tristemente venduto come il nuovo che avanza. Quindi lo spolpamento dell’Italia continua.

 

Il sistema finanziario è malato e pericoloso

Sono passati sei anni dal crollo dei mercati finanziari e ancora ne stiamo pagando le conseguenze. Eppure quella stessa finanza che ha creato la crisi gettando nella disperazione il mondo intero è stata l’unica che non ha subito reali conseguenze. Il dibattito oramai si è spostato su conti pubblici, sul debito degli stati, sui costi della politica, ma il problema è nato nella finanza e continua ad essere là, perché nessuno ha avuto scrupoli a tagliare posti di lavoro, servizi essenziali ai cittadini e fondi ai Comuni, ma nessuno si è permesso di toccare gli interessi delle lobby finanziarie per provare a regolare un settore schizzofrenico o quanto meno a far pagare i responsabili.

Ma la cosa peggiore è che le speculazioni, le bolle periodiche che esplodono, i finanziamenti a imprese che producono armi e la crisi dei sub prime del 2007 sono conseguenze di operazioni fatte dalle banche con i soldi dei cittadini.  Qualcuno forse lo sapeva già prima del 2007, ma adesso lo sappiamo tutti. Il grande pubblico ha visto quello che è successo e continua a vederlo: i derivati venduti ai comuni, le speculazioni sul prezzo del cibo delle grandi banche d’affari che uccidono i più poveri del mondo, o per rimanere in casa il caso Monte dei Paschi di Siena.

Il sistema finanziario è malato e pericoloso. Solo che lo alimentiamo noi tutte le volte che ci facciamo accreditare lo stipendio nelle solite banche, o tutte le volte che investiamo i nostri risparmi senza chiedere che uso ne faranno. Non possiamo più far finta di niente. Dobbiamo togliere dalle mani di questi signori i nostri soldi.

Con Econo)mia:)Felicità abbiamo lanciato la campagna “Save the pig contro il macello dei nostri risparmi” e deciso di fare un Bankmob: come per lo Slotmob contro il gioco d’azzardo, andremo il 15 marzo alla festa dei quindici anni di Banca Etica in massa ad aprire i nostri conti correnti, e i giorni successivi li andremo a chiudere nella nostre attuali banche, spiegando loro perché ce ne andiamo.

Perché proprio Banca Etica? Se volete approfondire potete leggere lo studio appena pubblicato sull’impatto sociale di banca etica, ma per farla breve l’abbiamo scelta perché ha fatto quello che dovrebbe fare una banca: ha raccolto i risparmi delle persone e ha erogato finanziamenti, cosa che le banche tradizionali hanno smesso di fare da tempo con il credit crunch. D’altronde se l’unico scopo è massimizzare il profitto, è molto meglio speculare in borsa e investire nel gioco d’azzardo piuttosto che finanziare le imprese o le famiglie no?

L’abbiamo scelta anche per non essere più parte del problema, vogliamo controllare che uso si fa dei nostri soldi, e Banca Etica è l’unica in Italia che pubblica l’elenco dei finanziamenti erogati sul proprio sito. Sarebbe bello sapere a chi prestano Intesa, Unicredit ecc… Purtroppo lo veniamo a sapere sui giornali quando si apre un’inchiesta della magistratura.

Sarebbe bello essere in tanti a fare questa scelta. Su Comune-info è partita la campagna ribellarsi facendo… ecco facciamolo: smettiamo di urlare contro le banche, alziamoci dal divano e chiudiamo i nostri conti.  Sicuramente sarà la volta buona che ci ascolteranno. Le imprese, banche incluse, non sono mai contente quando se ne va un cliente.

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Per partecipare invia una mail a economiafelicita@gmail.com.

http://www.economiafelicita.it/bank-mob/

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“Gli americani e la lista della spesa” di Monica Di Sisto

Sono fuori dall’Italia da due mesi ma sono sicuro che questa notizia non ha avuto risalto né sui quotidiani né sui telegiornali. A me pare l’ennesima prova delle direzione in cui stiamo andando che è quella del “Nuovo Ordine Mondiale”. Al di là del la locuzione in sé in ogni caso, la sostanza è sicuramente quella. A seguire l’interessantissimo articolo( che però non ci sorprende).
L’esperienza che sto vivendo è talmente lontana da questo mondo che  A Bruxelles è in corso il primo meeting di associazioni, sindacati e movimenti Usa e Ue per fermare il Trattato Transatlantico su commercio e investimenti (T-Tip). I negoziati ufficiali sono cominciati martedì e gli  Stati uniti hanno presentato una lista di settori chiave con relativi prodotti e servizi che dovrebbero esser parte dell’accordo di libero scambio per i mercati europei
 BRUXELLES – Piccole presentazioni di pochi minuti, con i capo negoziatori di Usa e Ue competenti per i diversi gruppi in prima fila, a fare piccole domande ai rappresentanti dei più disparati gruppi di interesse – dai sindacati, alle imprese, dalle corporations agli esportatori agricoli, dagli ambientalisti alle organizzazioni professionali europee e statunitensi – studiate per ottenere piccole risposte, il meno approfondite possibili. Il “democratico” confronto inaugurato mercoledì 12 marzo a Bruxelles dalla Commissione europea a margine della settimana di trattative ufficiali del Trattato Transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) – fatto di gruppi di lavoro aperti e di interventi programmati dove dire la propria come in uno speaker corner – è il fiore all’occhiello della strategia dell’Unione europea per combattere le critiche contro la segretezza di un negoziato tanto importante per la credibiità politica dell’élite che l’ha lanciata, aprendo spazi di dialogo controllato.

Gli Stati Uniti, invece, con il solito approccio ruvido e diretto, hanno affidato a un comunicato stampa pubblico di ben nove pagine la “lista della spesa” dei nostri pezzi di mercato in cui vogliono entrare con i loro prodotti e servizi, articolata capitolo per capitolo e senza girarci tanto intorno. Scorrerla è istruttivo, soprattutto perché chiarisce i contorni concreti della questione, visto che si apre con la volontà dichiarata di “eliminare tutti i dazi e le tariffe sui prodotti agricoli, industriali e  di consumo, una sostanziale parte dei quali da eliminare con l’entrata in vigore dell’accordo”.

A fronte degli oltre 730 milioni di dollari di prodotti che gli Stati Uniti esportano in Europa, e della ripresa della produzione manifatturiera negli Usa, l’obiettivo è quello di vendere sempre più pezzi e componenti a quell’Europa che non li produce più, e per farlo c’è un’unica condizione: abbattere anche gli standard di sicurezza, qualità e salute che al momento li mettono fuori legge da noi. Ogm, residui chimici, di pesticidi, di ormoni, sono considerate dagli Usa “restrizioni non basate sulla scienza, ingiustificate barriere tecniche al commercio, che limitano le opportunità degli esportatori Usa di competere”.

 

Da parte Usa si professa di voler “mantenere il livello di sicurezza, salute e  sicurezza ambientale che la nostra gente si aspetta”, ma anche “di voler cercare una maggiore compatibilità tra livelli di regole e standard tra Usa e Ue” indicando nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e non come un’istituzione di stato o delle Nazioni Unite, ma nemmeno in un’istituzione scientifica, il modello cui ci si vuole ispirare per liberare il commercio da queste fastidiose variabili come la salute di tutti noi e il futuro del nostro clima.

La qualità dei prodotti agricoli e del cibo in America – dove sono tuttora sul mercato sostanze e prodotti da noi vietati da anni perché provatamente tossici e cancerogeni – dovrebbero essere perfettamente legali anche da noi, secondo il comunicato del Ministero del commercio Usa, perché “si basano su evidenze scientifiche e non su ostacoli al commercio infondati”. Questo non renderebbe solo più competitive le imprese americane, assicurano, ma stabilirebbe un meccanismo permanente innovativo per risolvere questi problemi.

L’idea, dunque, è di introdurre un nuovo organismo congiunto di cooperazione sugli standard, che si porrebbe ad un livello superiore rispetto alle legislazioni nazionali e che, stando al numero di righe ad esso dedicate dal comunicato, è uno degli obiettivi più importanti da portare a casa per i negoziatori americani. Connesso a questo percorso, c’è anche quello di semplificare le regole d’origine, di prodotti e servizi per evitare che ad alcune merci vengano garantiti spazi provilegiati di mercato. Con buona pace del Made in Italy come del Borgogna questo è un altro obiettivo degli esportatori a stelle e strisce: impedire ai nostri produttori di opporsi alle loro copie a basso costo dei nostri prodotti tipici, e di abbattere le denominazioni d’origine e di qualità che sono tanto care ai consumatori attenti, ma tanto penalizzano i produttori intensivi delle due sponde dell’Oceano.

Chiudiamo con un sorriso: dallo stesso comunicato stampa apprendiamo che gli Stati Uniti, che non hanno mai sottoscritto il Protocollo di Kyoto per l’abbattimento delle emissioni climanteranti, almeno quanto una montagna di altre convenzioni internazionali per la protezione dell’ambiente si ritengono “leader nella ricerca di misure di protezione ambientale d’alto livello e di un’efficace implementazione delle leggi a difesa dell’ambiente all’interno delle regole commerciali”. Per continuare ad essere tali, affermano, vogliono “abbattere tutte le barriere commerciali in atto rispetto ai prodotti, alle tecnologie e ai servizi ambientali come l’energia pulita”, tra cui essi, però, inseriscono il gas derivato da fracking e il nucleare. C’è da pensare che prima di venerdì, quando i negoziatori saliranno sui loro aerei per tornare tutti a casa, di risate come queste ce ne saremo fatte tante tante altre. E che la preoccupazione sul futuro che ci aspetta sarà cresciuta almeno altrettanto.

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Per sostenere la Campagna italiana per fermare il TTIP www.stop-ttip-italia.net

www.facebook.com/pages/Stop-TTIP-Italia/

http://tradegameblog.com/

Ecco la lista della spesa Usa

UNITED STATES TRADE REPRESENTATIVE www.ustr.gov Washington, D.C. 20508 202-395-3230 FOR IMMEDIATE RELEASE: March 11, 2014

In June 2013, President Obama, European Council President Van Rompuy and European Commission President Barroso announced that the United States and the European Union (EU) would launch negotiations on the Transatlantic Trade and Investment Partnership (T-TIP) agreement.  The T-TIP is intended to be an ambitious and comprehensive trade agreement that significantly expands trade and investment between the United States and the EU, increases economic growth, jobs, and international competitiveness, and addresses global issues of common concern.  For the full text of the President’s T-TIP launch remarks, click here.

The launch followed a vigorous domestic consultation process with relevant stakeholders on the Obama Administration’s goals and objectives for a negotiation with the EU, which were publicly described in a March 20, 2013 letter to the U.S. Congress.

This factsheet describes in more detail the Administration’s specific goals and objectives, and outlines how this agreement, if successfully concluded, will benefit American workers, businesses of all sizes, and consumers.  We have heard from the American public their request for an elaboration of the information we have provided about what we are working to achieve through trade negotiations, so we will continue to share information through the press, social media, and www.USTR.gov as we move forward in the negotiations.

We also invite members of the public to submit comments on the negotiations in an email to comment@ustr.eop.gov.

 

TRADE IN GOODS

  • We seek to eliminate all tariffs and other duties and charges on trade in agricultural, industrial and consumer products between the United States and the EU, with substantial duty elimination on entry into force of the agreement, transition periods where necessary for sensitive products, and appropriate safeguard mechanisms to be applied if and where necessary.

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The United States ships more than $730 million in goods to the EU every day.  In today’s highly competitive global marketplace, even small increases in a product’s cost due to tariffs can mean the difference between winning and losing a contract.

The U.S. manufacturing base is growing, and we make some of the world’s most advanced industrial goods.  We exported more than $253 billion worth of industrial products to the EU in 2012.  With elimination of EU tariffs on industrial products, including innovative and high technology products such as industrial and electrical machinery, precision and scientific instruments, and chemicals and plastics, U.S. products will be put on equal footing with goods from the EU’s other free trade agreement partners – including Chile, Mexico, South Korea, and South Africa – which receive duty-free treatment when shipped to the EU, as well as with exports from one EU Member State to another.

The United States is the world’s largest agricultural export economy.  U.S. farmers and ranchers increasingly rely on agricultural exports for their livelihoods, 20 percent of farm income comes from exports, and those exports support our rural communities.  In fact, U.S. food and agricultural exports to the world reached an all-time high in 2013 of over $145 billion.  In that year, we sent just over $10 billion of agricultural exports to the EU, a figure that can and should be much higher.  Our goal in T-TIP is to help U.S. agricultural sales reach their full potential by eliminating tariffs and quotas that stand in the way of exports.

Eliminating tariffs would provide a level playing field for our agricultural producers, including for our apple growers who pay more than seven percent in duties when shipping to the EU, but whose EU competitors pay no duties on their shipments of apples to the United States.  U.S. olive oil producers would also benefit from tariff elimination, since U.S. olive oil is subject to $1,680 in duties per ton on shipments to the EU, but their EU competitors pay only $34 per ton on shipments to the United States.  Eliminating tariffs and quotas will help U.S. farmers, ranchers, manufacturers, workers, and their families, while giving Europeans access to safe, high-quality American food and agricultural goods.

For more information on industrial and manufacturing trade, visit www.ustr.gov/trade-topics/industry-manufacturing.  For more information on agricultural trade, visit www.ustr.gov/trade-topics/agriculture.

 

TEXTILES AND APPAREL

  • We seek to obtain fully reciprocal access to the EU market for U.S. textile and apparel products, supported by effective and efficient customs cooperation and other rules to facilitate U.S.-EU trade in textiles and apparel.

U.S. textile and apparel manufacturers sold nearly $2.4 billion worth of products to the EU last year.  Eliminating the remaining duties on our exports will create new opportunities for integration into European supply chains and to sell high-quality “made-in-USA” garments to European consumers.  Enhanced U.S.-EU customs cooperation will also help ensure that non-qualifying textiles and apparel from third countries are not being imported into the United States under T-TIP.

For more information on textiles and apparel trade, visit www.ustr.gov/trade-topics/textiles-apparel.

 

NON-TARIFF BARRIERS AND REGULATORY ISSUES

  • We seek to eliminate or reduce non-tariff barriers that decrease opportunities for U.S. exports, provide a competitive advantage to products of the EU, or otherwise distort trade, such as unwarranted sanitary and phytosanitary (SPS) restrictions that are not based on science, unjustified technical barriers to trade (TBT), and other “behind-the-border” barriers, including the restrictive administration of tariff-rate quotas and permit and licensing barriers, which impose unnecessary costs and limit competitive opportunities for U.S. exports.
  • While maintaining the level of health, safety and environmental protection our people have come to expect, we seek greater compatibility of U.S. and EU regulations and related standards development processes, with the objective of reducing costs associated with unnecessary regulatory differences and facilitating trade, inter alia by promoting transparency in the development and implementation of regulations and good regulatory practices, establishing mechanisms for future progress, and pursuing regulatory cooperation initiatives where appropriate;
  • We seek to build on key principles and disciplines of the WTO Agreement on Technical Barriers to Trade (TBT) through strong cross-cutting disciplines and, as appropriate, through sectoral approaches, to achieve meaningful market access, and establish ongoing mechanisms for improved dialogue and cooperation on TBT issues;
  • We seek to build on key principles and disciplines of the World Trade Organization (WTO) Agreement on the Application of Sanitary and Phytosanitary Measures (SPS) to achieve meaningful market access, including commitments to base SPS measures on science and international standards or scientific risk assessments, apply them only to the extent necessary to protect human, animal, or plant life or health, and develop such measures in a transparent manner, without undue delay; and to establish an on-going mechanism for improved dialogue and cooperation addressing bilateral SPS issues.

Non-tariff barriers (NTBs) can decrease market opportunities for U.S. exports and provide unfair competitive advantages to EU products.  These barriers take the form of restrictive licensing, permitting, and other requirements applied at the border, but also barriers behind the border, such as unwarranted technical barriers to trade and sanitary and phytosanitary measures.  Through T-TIP, we seek to identify ways to reduce costs associated with regulatory differences by promoting greater compatibility between our systems, while maintaining our high levels of health, safety, and environmental protection.  Achieving an outcome that results in greater transparency, participation, and accountability in regulatory processes is also critical to addressing and preventing NTBs, and why we have made that a key part of our approach in T-TIP.

With respect to TBT, the United States and the EU already have a shared commitment and responsibility to prevent and reduce unnecessary TBTs through the World Trade Organization’s Agreement on Technical Barriers to Trade.  But we know we can do more.  Achieving our TBT objectives in T-TIP would mean going beyond existing commitments by setting us on a path to increase transparency and openness in the development of standards and technical regulations, ensure that U.S. bodies are permitted to test and certify products sold in Europe, promote EU recognition of international standards used to support global trade by U.S. exporters and producers, and establish an ongoing mechanism to discuss TBT concerns.  Not only would our companies be more competitive, innovative, and efficient as a result, but T-TIP could set a positive example to other countries around the world.

For more information on TBT, visit www.ustr.gov/trade-agreements/wto-multilateral-affairs/wto-issues/technical-barriers-trade.

With respect to SPS, ensuring that the rules governing agricultural and food products are based on science and do not pose unwarranted obstacles to trade is as important to American farmers and ranchers as eliminating tariffs and quotas.  If we successfully address certain SPS barriers in T-TIP, Europeans will be able to enjoy safe, high-quality U.S. beef, pork, poultry, and other products that we currently ship to consumers all over the world.  In addition to eliminating barriers and opening markets for our farmers and ranchers, we seek to have the EU provide greater regulatory transparency and to engage in regular dialogues to help prevent barriers from being erected in the first place.

For more information on SPS, visit http://www.ustr.gov/trade-topics/agriculture/sanitary-and-phytosanitary-measures-and-technical-barriers-trade.

 

With respect to “regulatory coherence and transparency,” T-TIP offers an opportunity to develop cross-cutting disciplines on regulatory practices that have long been known to support economic growth, market integration, and removal of “behind the border” trade barriers.  This includes the promotion of greater transparency, participation and accountability in the development of regulations.  It also includes evidence-based analysis and decision-making, and a whole-of-government approach to regulatory management.  Giving stakeholders – public and private, foreign and domestic – adequate opportunity to comment on proposed regulations and ensuring that regulatory processes not only respect the democratic principles on which our laws are built, but provide regulators with input from a wide range of stakeholders.  Transparent regulatory processes ensure better quality regulations that can achieve important objectives, such as protecting health, safety and the environment.  On the other hand, a lack of transparency and accountability in regulatory and standards processes can lead to unnecessary, costly, or duplicative rules that reduce our competitiveness and act as discriminatory barriers to U.S. exporters.  Embracing sound regulatory objectives in T-TIP will not only draw our economies closer together, but will serve as a positive example for third-country markets around the world.

 

Finally, the United States and EU will be examining ways to increase regulatory compatibility in specific sectors through a range of regulatory cooperation tools as well as other steps aimed at reducing or eliminating unnecessary regulatory differences.  With extensive input from stakeholders, and in collaboration with our regulators, we aim to promote greater regulatory compatibility while maintaining our high levels of health, safety, and environmental protection.

 

RULES OF ORIGIN

  • We seek to establish rules of origin that ensure that duty rates under an agreement with the EU apply only to goods eligible to receive such treatment and define procedures to apply and enforce such rules.

We believe that only qualifying U.S. and EU goods should benefit from the T-TIP agreement, not goods produced in third countries.  Our larger companies with complex supply chains and our smaller businesses that can’t afford consultants gain when they can determine whether their exports or imports will be subject to reduced or zero duties when crossing borders.  Through T-TIP, we will seek to put objective and transparent rules online that explain: (i) to U.S. exporters and producers whether their goods qualify for preferential treatment when shipped to the EU; and (ii) to U.S. importers whether their goods qualify for preferential treatment when shipped from the EU.  Rules of origin would also establish clear, transparent procedures for claiming origin and record-keeping and other requirements for those who prepare origin certifications.

For more information on rules of origin, visit www.ustr.gov/trade-agreements/wto-multilateral-affairs/wto-issues/customs-issues/rules-origin

 

TRADE IN SERVICES

  • We seek to obtain improved market access in the EU on a comprehensive basis, and address the operation of any designated monopolies and state-owned enterprises, as appropriate; and
  • We seek to reinforce transparency, impartiality, and due process with regard to authorizations to supply services, obtain additional disciplines in certain services sectors, and improve regulatory cooperation where appropriate.

The United States is the largest services exporter in the world, and services industries account for four out of five U.S. jobs.  Whether ensuring that U.S. express delivery firms are able to compete for EU shipping business or permitting telecommunication service providers to connect U.S. companies with EU consumers online, lowering barriers in the services sector will have a beneficial impact on the entire U.S. economy.  Reducing barriers between the United States and the EU will make it easier, for example, for U.S. architecture firms to send blueprints for projects in Europe in real time and without costly delays.  Open and transparent trade in services also benefits U.S. startups by increasing access to otherwise unreachable customers.  Achieving our objectives to improve market access in the EU would improve choice and quality for consumers on both sides of the Atlantic and give U.S. services companies access to a large number of new customers.

For more information on trade in services, visit http://www.ustr.gov/trade-topics/services-investment/services.

Financial services are also an important component of the transatlantic economy.  Our goals are to ensure high-standard rules for investment in the financial services sector, as well as lock in existing and create new market openings for our financial services suppliers.  A successful T-TIP will increase financial services market access to the EU as well as provide consumers with access to high-quality financial services and greater choice with regard to suppliers.  At the same time, we will continue to ensure that our government retains full discretion to regulate the financial sector and to take the actions necessary to ensure the stability and integrity of the U.S. financial system.

For more information on trade in financial services, visit http://www.ustr.gov/trade-topics/services-investment/services.

ELECTRONIC COMMERCE AND INFORMATION AND COMMUNICATION TECHNOLOGY (ICT) SERVICES

  • We seek to develop appropriate provisions to facilitate the use of electronic commerce to support goods and services trade, including through commitments not to impose customs duties on digital products or unjustifiably discriminate among products delivered electronically;
  • We seek to include provisions that facilitate the movement of cross-border data flows.

The Internet provides U.S. retailers and service providers with an increasingly powerful platform for selling their goods and services to purchasers in some of the world’s wealthiest economies, such as France, Germany, the United Kingdom, and Italy.  U.S. filmmakers, musicians, and software developers should be able to sell their movies, music, video games, and other digital products to Europe’s more than 500 million consumers without having to worry about customs duties and fees, or otherwise being disadvantaged, just because their products are delivered over the Internet instead of by CD or DVD.  And European purchasers should generally be able to validate their online purchases of these items with an electronic signature rather than having to put pen to paper.  Furthermore, free flows of data are a critical component of the business model for service and manufacturing enterprises in the U.S. and the EU and key to their competitiveness.

For more information on e-commerce and ICT, visit www.ustr.gov/trade-topics/services-investment/telecom-e-commerce.

INVESTMENT

  • We seek to secure for U.S. investors in the EU important rights comparable to those that would be available under U.S. legal principles and practice, while ensuring that EU investors in the United States are not accorded greater substantive rights with respect to investment protections than U.S. investors in the United States;
  • We seek to ensure that U.S. investors receive treatment as favorable as that accorded to EU investors or other foreign investors in the EU, and seek to reduce or eliminate artificial or trade-distorting barriers to the establishment and operation of U.S. investment in the EU;
  • We seek to provide and maintain meaningful procedures for resolving disputes between U.S. investors and the EU and its Member States that are in keeping with the goals of expeditious, fair and transparent dispute resolution and the objective of ensuring that governments maintain the discretion to regulate in the public interest.

The United States and the EU have the world’s largest investment relationship.  Transatlantic investments total $4 trillion, directly supporting seven million American and European jobs, with millions more in indirect jobs.  These investments help our manufacturing sector, generating 18 percent of U.S. exports to the world.  Furthermore, jobs created by foreign investment tend to pay better than other private sector jobs.  That is why we need to build on these achievements and help generate more jobs, growth, and exports through certain, clear, and fair investment rules that encourage even more investment in job- and export-supporting economic activity.

For more information on investment, visit www.ustr.gov/trade-topics/services-investment/investment.

 

CUSTOMS AND TRADE FACILITATION

  • We seek to establish disciplines to ensure transparent, efficient, and predictable conduct of customs operations and ensure that customs measures are not applied in a manner that creates unwarranted procedural obstacles to trade; and enhance customs cooperation between the United States and the EU and its Member States.

Red tape at the border adds costs and creates delays.  U.S. exporters benefit from knowing ahead of time precisely how much they’ll pay in customs duties and fees – and from the ability to pay electronically – so that they can build those costs into their goods’ final price.  Further, farmers and ranchers succeed when their products don’t perish on the dock and they don’t have to pay for additional warehousing simply because of arbitrary delays at the border.   Reducing the amount of time spent moving goods through border procedures benefits all traders and has the compounding effect of reducing trade costs.

In today’s fast-paced world, it is critical that people have the ability to move goods on an expedited basis without burdensome customs filing requirements.  Procedures that allow for pre-arrival processing, advance rulings, release of goods under bond, uniform appeal procedures, express shipments and use of de minimis values also contribute to expedited release that benefits U.S. exporters.  Additionally, greater cooperation among customs authorities helps ensure not only that high-quality, authentic U.S. goods can be delivered to consumers more rapidly, but also that those genuine goods are not competing with smuggled or counterfeit products.

For more information on customs and trade facilitation, visit www.ustr.gov/trade-agreements/wto-multilateral-affairs/wto-doha-negotiations/trade-facilitation.

GOVERNMENT PROCUREMENT

  • We seek to expand market access opportunities for U.S. goods, services, and suppliers of goods and services to the government procurement markets of the EU and its Member States;
  • We seek to ensure fair, transparent, and predictable conduct of government procurement and that U.S. suppliers of goods and services receive treatment as favorable as that accorded to domestic and other foreign goods, services, and suppliers in the EU and its Member States.

Both U.S. and European governments buy a broad range of goods and services from private sector businesses, which leads to job-supporting opportunities for industries that provide information technology goods, consulting services, infrastructure, and other products.  Achieving our T-TIP objectives will ensure U.S. companies get a fair shot at eligible government procurement opportunities, as well as open new opportunities for U.S. companies in the 28 EU Member States.  This would mean expanded opportunities to bid on government contracts in areas including construction, engineering, and medical devices.

For more information on government procurement, visit www.ustr.gov/trade-topics/government-procurement.

LABOR

  • We seek to obtain appropriate commitments by the EU with respect to internationally recognized labor rights and effective enforcement of labor laws concerning those rights, consistent with U.S. priorities and objectives, and establish procedures for consultations and cooperation to promote respect for internationally recognized labor rights.

Our trade agreements are designed to prevent a race to the bottom on labor protections.  We include strong labor commitments to help ensure that increased levels of trade and investment with our partners are not being driven by a weakening of worker rights.  Trading partners must not only have laws and regulations on their books that recognize fundamental labor rights; they must also enforce them.  U.S. businesses can’t compete fairly if their foreign competitors aren’t required to provide their workers the same levels of protection afforded workers in the United States.

The United States and Europe already maintain high levels of protection for their workers.  T-TIP should reflect this shared commitment, which may become a model for others to follow, and encourage even greater transatlantic cooperation.

For more information on trade and labor, visit www.ustr.gov/trade-topics/labor.

ENVIRONMENT

  • We seek to obtain, consistent with U.S. priorities and objectives, appropriate commitments by the EU to protect the environment, including conserving natural resources, and to effectively enforce environmental laws, and seek opportunities to address environmental issues of mutual interest.

The United States is a leader in seeking high levels of environmental protection and the effective enforcement of environmental laws in trade agreements.  We include strong environmental commitments in our trade agreements to help ensure that our trading partners do not weaken environmental protections in order to encourage trade or investment.  Through our agreements, the United States has joined with trading partners in eliminating barriers to trade in cutting-edge environmental technologies like clean energy, promoting the protection of wildlife and endangered species, and addressing key issues like harmful fisheries subsidies and illegal logging.

The United States and Europe already maintain high levels of environmental protection.  T-TIP should reflect this shared commitment, which may become a model for others to follow, and encourage even greater transatlantic cooperation.

For more information on trade and the environment, visit www.ustr.gov/trade-topics/environment.

INTELLECTUAL PROPERTY RIGHTS

  • We seek to obtain, consistent with U.S. priorities and objectives, appropriate commitments that reflect the shared U.S.-EU objective of high-level IPR protection and enforcement, and to sustain and enhance joint leadership on IPR issues;
  • We seek new opportunities to advance and defend the interests of U.S. creators, innovators, businesses, farmers, and workers with respect to strong protection and effective enforcement of intellectual property rights, including their ability to compete in foreign markets.

The United States and the EU have the world’s most successful creative industries, and intellectual property protection and enforcement are essential for encouraging innovation in new technologies, stimulating investment in research and development, and supporting exports of U.S. products and the creation of American jobs.  Nearly 40 million American jobs are directly or indirectly attributable to “IP intensive” industries.  These jobs pay higher wages to their workers, and these industries drive approximately 60 percent of U.S. merchandise exports and a large share of services exports.  We will seek in T-TIP to build on shared strengths and principles reflective of our strong and balanced systems, while promoting good policies in third countries as well.

For more information on intellectual property rights, visit www.ustr.gov/trade-topics/intellectual-property.

 

STATE-OWNED ENTERPRISES

  • We seek to establish appropriate, globally relevant disciplines on state trading enterprises, state-owned enterprises, and designated monopolies, such as disciplines that promote transparency and reduce trade distortions.

U.S. and European businesses and workers deserve a level playing field, especially when state-owned enterprises (SOEs) that receive significant government backing engage in commercial activity.  Achieving this objective would help establish disciplines to encourage SOEs to operate in markets in a transparent manner that does not distort trade or put our companies at a disadvantage.  Agreed SOEs rules in T-TIP can also serve as a model to third country markets around the world.

SMALL-AND MEDIUM-SIZED ENTERPRISES (SMES):

  • We seek to strengthen U.S.-EU cooperation to enhance the participation of SMEs in trade between the United States and the EU.

SMEs are the backbone of the American and European economies.  The United States’ 30 million SMEs account for nearly two-thirds of net new private sector jobs in recent decades.  SMEs that export tend to grow even faster, create more jobs, and pay higher wages than similar businesses that do not.  T-TIP will enhance already strong U.S.-EU SME cooperation and help SMEs on both sides of the Atlantic seize job-supporting trade and investment opportunities.

For more information on SMEs, visit www.ustr.gov/trade-topics/small-business.

 

TRANSPARENCY, ANTICORRUPTION AND COMPETITION

  • We seek to obtain improved transparency in the administration of EU and Member State trade and investment regimes, and rules that ensure trade- and investment-related measures are adopted and applied in an open and transparent manner that provides meaningful opportunities for public comment, notice, and review;
  • We seek to obtain appropriate commitments on anticorruption;
  • We seek to address matters of mutual interest regarding competition policy and process and to further improve cooperation on competition policy.

For U.S. businesses to compete in the global market, they must have clear, predictable laws and regulations that are administered by officials who are not subject to undue influence.  That is why we are seeking commitments in T-TIP to publish promptly all laws, regulations, administrative rulings and other procedures that affect trade and investment.  We will also seek opportunities for interested parties to learn about and provide meaningful input on measures before they are adopted and finalized.

Corruption distorts competition and often prevents the public from receiving the highest quality goods and services.  Accordingly, we have sought to ensure that our trade agreements include appropriate provisions to address corruption, and we will be doing so in our T-TIP negotiations.  We and the EU also agree that the sound and effective enforcement of competition law is a matter of importance to the efficient operation of our respective markets and trade between them.  Competitive markets provide the environment necessary for entrepreneurship and innovation, protects against anticompetitive behavior that distort market outcomes, and helps consumers obtain more innovative, high-quality goods and services at lower prices.

 

DISPUTE SETTLEMENT

  • We seek to establish fair, transparent, timely, and effective procedures to settle disputes on matters arising under a trade and investment agreement with the EU, including through early identification and settlement of disputes through consultation.

We recognize that trade agreements that are effectively enforced establish a set of high-standard rules and obligations that help keep markets open to U.S. exporters and investors and ensure a level playing field.  When we negotiate and implement a trade agreement, we expect our trading partners to stick by the rules and obligations they agreed to.  However, when our trading partners fall short of what they promised – whether to reduce tariffs, implement strong labor and environment provisions, or otherwise provide U.S. exporters fair and non-discriminatory treatment – we need a means to hold them accountable.  This is why we have this important objective to establish a fair and open dispute settlement mechanism.  Dispute settlement gives us a means to discuss our concerns in a timely way and to seek compensation if they are not addressed.  Dispute settlement with trading partners in T-TIP will give the American public the confidence that we not only negotiate strong, high-standard obligations, but that we also have the means to enforce them.

For more information on dispute settlement, visit www.ustr.gov/trade-agreements/wto-multilateral-affairs/wto-issues/dispute-settlement.

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