Vivere senza lavorare | n°1: perché iniziare a vivere fuori dalle logiche del consumo e del denaro

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Una truffa per tenerci schiavi

Vivo senza lavorare dal 2004, da quando cioè presi netta coscienza che l’intero meccanismo economico, di cui quello lavorativo è parte fondante, non è altro che una truffa per tenerci schiavi. Non è un modo di dire. È la piena e pura verità.

Da allora ho una vita bellissima (per onestà devo dire che anche prima la mia vita non era male. Ho sempre avuto questo senso del vivere senza programmare troppo che mi faceva sentire vivo), intensa, entusiasmante, piena di sorprese, ma non per questo facile, senza dubbi, paure e momenti difficili.

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Ci sono difficoltà, non tutto è rose e fiori. Anzi. Ma ho una vita vera che in gran parte mi scelgo anziché subire quella imposta dal Sistema. Come cantava Pierangelo Bertoli:

alla fine della strada, potrò dire che i miei giorni li ho vissuti”.

In soldoni, al netto di tutto, si tratta di sentirsi vivi e protagonisti della propria vita.

Quando iniziai a lavorare…

Ho iniziato a lavorare in proprio nel 1989 che ancora non avevo compiuto venti anni, e mi sono cimentato in svariate attività, sia in Italia che all’estero, sempre e solo per puro spirito di avventura. Ero sveglio, sapevo muovermi, avevo entusiasmo. Perlopiù aprivo attività “innovative”.

Sono partito con un po’ di risparmi che avevo messo da parte facendo le stagione estive come cameriere e bagnino da quando avevo quattordici o quindici anni, e un prestito di dieci milioni di lire da parte dei miei genitori (prestito restituito dopo 3 mesi). Da allora ho sempre camminato sulle mie gambe.

Lo schema era semplice
1) Mi veniva in mente qualche nuova idea;
2) Mi buttavo senza pensare (niente studi di fattibilità né business plan).

Cominciavo ad investigare, ad avviare contatti, poi si lavorava per aprire, c’era il lancio. Fin qui tutto bene perché ero sempre carico di entusiasmo per la novità.

Poi l’attività andava gestita nel quotidiano ed io, dopo un po’, soprattutto se le cose andavano bene, perdevo slancio. Ho sempre avuto problemi a gestire il quotidiano: era sempre la solita cosa, non mi interessava più. A quel punto o vendevo, o svendevo (“Vale 10? Dammi 5 che va bene lo stesso”) o addirittura (mi è capitato anche questo) regalavo. A quel tempo ero una macchina di idee e immediatamente dopo mi lanciavo in qualche altra avventura imprenditoriale.

Imprenditore seriale… senza interesse per i soldi

Dei soldi non mi è mai importato nulla e questa è stata la mia salvezza. Tanto per capirci sono passato nel giro di pochissimi mesi dal gestire una catena di dodici yogurterie, a un fast food all’italiana a Sint Marteen nelle Antille olandesi, a fare consegne di pizza a Brooklyn perché nel frattempo avevo perso tutto per vicissitudini varie che non sto qui a ripercorrere.

Del fatto che fino al giorno prima fossi un imprenditore seriale non mi importava nulla. Avevo perso tutto, ricominciavo dalle consegne di pizza (facevo anche il cameriere ai matrimoni). Sempre tutto con lo stesso entusiasmo, spirito di avventura e amore per la vita. Ciò che contava era l’entusiasmo con cui vivevo e non i soldi che facevo.

Proprio perché l’aspetto economico è sempre stato per me del tutto secondario, di soldi ne ho sempre fatti a sufficienza ma mai “troppi”, neppure quando avrei potuto. Del resto non me ne importava nulla. Non mi sono mai arricchito e anche da imprenditore ho sempre messo la libertà al primo posto. Del resto per vivere ho sempre necessitato di molto poco e anzi ho sempre avuto la netta percezione che più cose hai più cose hai di cui preoccuparti: non sei tu a gestire cose, case, attività, soldi, ma loro a gestire te. Feci l’imprenditore per divertimento (come qualcuno mi definì all’epoca) per una quindicina d’anni.

Nel 2004 la mia vita cambiò. Nella primavera di quell’anno iniziai a capire cose che oggi sono forse banali e scontate per molti ma che allora non lo erano (almeno per me).

Ma chi paga la crescita economica?

La prima cosa di cui presi profonda coscienza è che l’economia implica necessariamente distruzione della natura, devastazione, inquinamento. Quindi se vogliamo che l’economia cresca, contestualmente vogliamo anche più distruzione della natura, più devastazione, più inquinamento. Questo non era ciò che volevo e nel mio piccolo decisi di starne fuori il più possibile.

La seconda cosa è che l’economia implica perlopiù sfruttamento di esseri umani, spesso bambini (che non sono meno bambini dei nostri). Quindi se vogliamo che l’economia cresca, contestualmente vogliamo anche più sfruttamento di altri uomini/donne/bambini. Anche per questo decisi di starne fuori il più possibile.

Poi capii che la crescita economica, spacciata come panacea di tutti i mali e sinonimo di benessere, è una stro***ta intergalattica. E qui c’è poco da aggiungere.

Infine mi parve chiaro che l’economia capitalista di mercato implica, ipse dixit, l’infelicità umana.

In parole povere l’economia funziona se siamo infelici e non felici, perché l’uomo, se è felice, non compra oggetti (o servizi) di cui non ha alcun bisogno. Lo fa, al contrario, se non lo è. Lo fa, al contrario, se deve gratificarsi o alzare la propria autostima esibendo qualche status symbol. Quindi se vogliamo che l’economia cresca, contestualmente vogliamo (nel senso di “accettiamo di”) essere più infelici.

Chi vuole essere infelice? Io no, e anche questa consapevolezza fece sì che decisi di mettere l’economia il più possibile fuori dalla mia vita.

CONTINUA…

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