La guardia bassa, i maiali… e noi
Il pugno che ti colpisce mentre hai la guardia bassa fa più male. Del resto avere la guardia bassa a volte è normale e perfino necessario perché non si può stare tutta la vita “in guardia”. Bisogna anche rilassarsi e riuscire a sorridere spensieratamente. E’ una cosa giusta.
Cosa c’entra la “guardia bassa” con i maiali? Mi è successo recentemente di visitare (casualmente, per questo la guardia era bassa) un’attività turistica che è anche azienda agricola, dedita, tra le altre cose, all’allevamento di animali. Sono vegetariano per questioni etiche e morali da oltre 21 anni e vegano da solo 4 e il fatto che abbia impiegato 17 anni a passare dal vegetarianesimo al veganesimo indica due cose: la prima è che avrei dovuto metterci molto di meno. La seconda è che di conseguenza non sono nella posizione di predicare niente a nessuno, men che meno di giudicare nessuno. Questo per chiarire che il senso di questo articolo è esclusivamente di fungere da spunto di riflessione.
Ci si può certamente domandare perché la gente mangia carne e derivati. Credo che le questioni di fondo siano essenzialmente due: abitudine e comodo. Al limite si può aggiungere il gusto, ma credo che questo sia relativo perchè il gusto è un qualcosa che cambia con l’assuefazione o meno del palato a certi cibi. Ad esempio a me che non mangio carne da tanto tempo il solo odore fa venire il voltstomaco, esattamente come il fumo o anche l’alcool. Quindi il gusto, semmai, e’ solo una conseguenza dell’abitudine. E se il discorso dell’abitudine è di comprensione immediata, a quello legato al comodo possiamo dedicare qualche rapida riflessione in più. Essere “comodi” significa non voler mettere in discussione ciò che si fa, non voler mettere in discussione la propria vita, anche e forse soprattutto i propri rapporti sociali. Si è “comodi” per non farsi “prendere in giro” (il che denota insicurezza e conseguente necessità di approvazione altrui) mentre a sua volta chi “prende in giro” attacca per non dover mettere in discussione se stesso. Basta aggiungere a tutto ciò l’enorme apparato massmediatico-pubblicitario mosso dall’industria della carne e dei prodotti ovocaseari (entrambe collegate, sia detto di passata, all’industria farmaceutica) ed un breve ma essenziale quadro del perchè ancora un enorme numero di persone si cibi di di animali ammazzati, nonostante tutte le ragioni (etiche, ambientali, di salute) che ci dicono che non dovremmo farlo.
L’essere umano è un animale fisiologicamente frugivoro. Se fossimo carnivori avremmo denti aguzzi e mandibole atte a spezzare, correremmo veloci come un ghepardo per catturare la nostra preda e la nostra struttura muscolare sarebbe poderosa come quella di un leone, saremmo dotati di artigli per bloccare la preda, di succhi gastrici 25 volte più potenti di quelli umani per la digestione, il nostro apparato digerente sarebbe breve anziché lungo per lo stesso motivo, mangeremmo la carne cruda e sul posto senza dover ricorrere al fuoco per ammorbidirla ecc. L’allontanamento dalla nostra natura provoca inevitabilmente una forma di malattia che non esito a definire “dipendenza”. O forse dovrei dire tossicodipendenza, perché la carne e gli altri derivati animali sono per noi tossici, proprio perché non siamo fisiologicamente predisposti ad assumerli. Con la differenza che questa tossicodipendenza non fa del male solo a noi stessi ma anche e soprattutto agli animali che ne sono le prima vittime.
Queste necessarie premesse per dire che se ho sentito l’esigenza di scrivere qualcosa sulla questione animale non è tanto per convincere qualcuno o per spiegarne le questioni etiche e morali, le questioni “naturali” o quelle di salute. Su questo sono stati scritti milli libri e sono più che sufficienti. Nel caso di questo brevissimo scritto, il punto non è spiegare o provare a convincere, ma piuttosto raccontare ciò che ho provato durante quella mia visita a questa fattoria: in sostanza si tratta semplicemente della condivisione con chi mi legge di una piccola ma significativa esperienza di vita diretta. Conosco bene la realtà degli allevamenti industriali di animali: stabulati, tenuti sotto luci accese per 24 ore al giorno, ingozzati di cibo ingrassante, con le ossa che gli si spezzano sotto un peso abnorme ed innaturale, con i becchi spezzati (le galline), imbottiti di antibiotici perché sono ovviamente malati, spesso picchiati e maltrattati, i piccoli strappati alle mamme appena nati per poi essere immediatamente uccisi (che paradossalmente è anche meglio perché così la loro sofferenza è più limitata). Le condizioni cui sono sottoposti gli animali da allevamento industriale sono semplicemente allucinanti e nessun aggettivo può essere più indicato di questo. Al confronto gli animali che ho visto io stanno passando una vacanza al Grand Hotel degli animali. Eppure… è proprio questo che mi ha colpito. Il fatto, molto semplicemente, è che quando ho visto quegli animali chiusi in gabbia ed impossibilitati a muoversi, quando ho sentito le loro urla, quando ho “sentito” dentro di me cose che nessun libro e nessun video, per quanto crudi, potranno mai far capire… ecco, quel pugno allo stomaco è arrivato forte ed improvviso.
Un libro e anche un video sono “falsi” e fuorvianti perché arrivano all’intelletto e portano a razionalizzare. Alcuni ovviamente riescono anche ad arrivare al cuore, ed è una cosa grandemente positiva ma per la maggior parte non è così. E il fatto è che quando si comincia a razionalizare, a formulare teorie, si può andare avanti all’infinito. Si può razionalizzare che “in fondo siamo onnivori per natura” (provate a catturare un animale a mani nude e senza l’ausilio di nessun aggeggio di alcun genere, cioè secondo “natura”, per vedere se siamo onnivori), oppure domandare “e dove prendi le proteine?” (dove le prendono i gorilla? Nelle foglie e nella frutta magari?!), oppure ancora affermare che “poi quando sei vecchio ti manca il ferro nelle ossa”. Fermiamoci pur qui). La volontà e l’onestà nell’affrontare la questione animale (così come tante altre questioni) non sono mai razionali perché la razionalità è il trionfo dell’irrazionalità (basterà pensare che la specie umana, la sola dotata di razionalità, sta distruggendo il pianeta e con ciò se stessa). La questione animale, se appunto la si vuole affrontare onestamente, non è mai razionale ma semmai sociale, psicologica, e soprattutto emotiva e di cuore. Secondo me è questo il punto. Il punto è che che quando di mezzo ci si mette il cuore, l’istinto, la “pancia”, come nel mio caso quando ho visitato questa fattoria, quelli non mentono. Sanno benissimo ciò che è giusto e ciò che è non lo è. Perché sono puri esattamente come lo è un bambino. Un bambino puro, non contaminato dagli adulti e dal loro mondo che è costretto a vivere, difficilmente sbaglia ed è per questo che dovremmo imparare da loro anziché pretendere di insegnare loro. Quel bambino non sbaglia per un motivo molto semplice: perché è ancora connesso con la Vita.
Allora, la questione non è di voler convincere gli onnivori a diventare vegetariani o vegani nè tantomeno di giudicare chi non lo è. La questione è di provare ad essere onesti con se stessi semplicemente perché è giusto provare ad esserlo. Portate un bambino in un allevamento di maiali e guardate la sua faccia inorridita. Non c’è bisogno di tanti pensieri e ragionamenti. Quella faccia vi dirà tutto. E’ inorridita perché lascia parlare il cuore, perché ascolta il cuore e quello lì (il cuore) sa benissimo che ammazzare quegli animali e poi mangiarseli non va bene; né per loro né per noi. Un bambino ascolta il cuore (lo sa ancora ascoltare) e non si mette a fare i patetici ragionamenti che facciamo noi, abituati come siamo a mentirci su tutto ed a costruirci attorno corrazze per sopravvivere in quell’orribile mondo che abbiamo edificato scrupolosamente come fosse un enorme parco giochi dove tutto è possibile e tutto è dovuto. Mentiamo a noi stessi perché ammettere la realtà significherebbe dover cambiare.
Cibarsi di animali dimostra solamente vigliaccheria, soprattutto nei confronti di noi stessi, e questo per il semplice motivo che la stragrande maggioranza di noi non toccherebbe più carne dovesse uccidere l’animale con le proprie mani o anche solo vedesse le condizioni e le sofferenze a cui questi sono sottoposti. Quei maiali, quegli animali, sono esseri viventi esattamente come lo siamo noi, che li mangiamo non perché “siamo onnivori” o “perché ci fa bene” ma semplicemente perché siamo nati e cresciuti mangiando carne e tutti lo fanno (in realtà sempre meno per fortuna). Lo facciamo, lo abbiamo gia’ scritto, essenzialmente per abitudine e per comodo. In genere però quando si cresce si cambia o perlomeno lo si può fare. Il cambiare e il cercare di migliorarsi dovrebbero far parte del processo di crescita della persona, del suo cammino di Vita. Allora, ripeto, se vogliamo essere onesti con noi stessi, un giorno facciamo questa visita assieme ad un bambino. Poi facciamo una semplice prova: il giorno dopo diamo al bambino una bistecca per cena spiegandogli che è lo stesso maiale che ha visto e magari accarezzato il giorno prima. Faremo un bel regalo, sia a lui che ai maiali. Perché ne faremo un vegetariano per la vita. E chissà che quel bambino, se solo avremo il coraggio di imparare da lui (ci vuole coraggio ed umiltà per imparare dai bambini, due virtù dei grandi) cambi la sua vita, quella dei maiali e la nostra: in meglio ovviamente.
Credo infine che la scelta di non cibarsi di animali o di loro derivati debba essere intesa in prima battuta come una forma di “difesa del più debole” ma si risolva poi, soprattutto, in una questione di cambiamento spirituale ed interiore. Un cambiamento che ci porti a vedere ed a capire quello che è il nostro ruolo e il nostro posto su questo pianeta e che ci porti ad immaginare un diverso modo di rapportarci ad esso e a tutto ciò che ne fa parte; su un piano paritario piuttosto che di dominanza. Perché è proprio quell’ideologia del dominio di cui ci facciamo orgogliosi portatori la prima causa di quell’autodistruzione inarrestabile che una volta avviata non riusciamo più a controllare. Avere il coraggio di rendersene conto e smettere di nutrirci (si fa per dire) e di ammalarci (qui non si fa per dire) di sofferenza altrui non è solo un modo per liberare gli animali ma anche noi stessi. Per un comune futuro migliore.