La Forza della Comunità – Come Cuba è sopravvissuta al picco del petrolio

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Pubblicato su: “Consapevole”

Intervista a  Megan Quinn Bachman e Rob Content, autori del documentario “The power of community – How Cuba survived peak oil”

Orti urbani, permacultura, recupero delle conoscenze delle generazioni passate e solidarietà: ecco come Cuba è riuscita a far fronte alla chiusura dei rubinetti dell’oro nero. Nel 1991, in seguito al crollo dell’ex Unione Sovietica, Cuba si ritrovò dall’oggi al domani con forniture di petrolio ridotte al minimo. Questo fatto comportò un tracollo devastante per l’economia cubana. La paralisi colpì il settore agroindustriale, l’industria ed i trasporti. Il Pil scese del 34%. L’apporto calorico nella dieta passò da 2908 a 1863, quello proteico diminuì nella misura del 40%. I cubani persero mediamente dieci chilogrammi a testa. Cuba è stato il primo paese al mondo a vivere la sfida che ogni paese dovrà affrontare: la crisi del picco petrolifero.

Abbiamo chiesto a Rob Content (Program Manager) e Megan Quinn Bachman (Outreach Director), autori del documentario The power of community. How Cuba survived peak oil, se e come l’esperienza di Cuba possa servire al resto del mondo per affrontare le conseguenze del picco globale.

Mr. Content, anzitutto perché avete pensato ad un documentario sul “Periodo Especial”?

Rob Content: Il “Periodo Especial” è arrivato come conseguenza del picco petrolifero artificiale. Noi chiamiamo il picco conosciuto da Cuba “artificiale” perché non fu provocato da cause naturali, cioè mancanza reale di greggio, quanto da un declino nella capacità di approvvigionamento di petrolio da parte di Cuba come conseguenza della caduta dell’ex Unione Sovietica. Il Periodo Especial è, ad oggi, l’unico esempio al mondo rispetto a cosa un paese ed i suoi cittadini possono fare per fronteggiare una scarsità di disponibilità petrolifera. In definitiva, il successo ottenuto dai cubani nel cambiare il loro stile di vita ci ha ispirato nel voler documentare questa straordinaria esperienza.

Il collasso dell’ex Unione Sovietica ha portato al collasso dell’economia cubana. Tale crollo ha colpito qualche settore in particolare?

Rob Content: Direi quello dell’agroindustria. Prima del crollo dell’Unione Sovietica il governo cubano era orgoglioso della propria agricoltura, fortemente industrializzata. L’agricoltura cubana dipendeva da combustibili fossili più di quella di ogni altro paese latinoamericano e più della stessa agricoltura statunitense. Quando Cuba non ha più avuto disponibilità petrolifera, i cubani persero mediamente più di dieci chilogrammi a testa. Una enormità. Si consumavano uno o al massimo due pasti al giorno.

Anche il settore dei trasporti fu pesantemente colpito. L’utilizzo dell’auto era largamente diffuso a Cuba negli anni ’80, nonostante l’efficienza del trasporto pubblico. La mancanza di petrolio e l’aumento dei costi ha messo in grossa difficoltà il sistema dei trasporti, particolarmente quello privato.

Da ultimo la sanità. Il sistema sanitario cubano era relativamente preparato, poiché ha sempre posto l’accento sulla prevenzione, con un alto numero di dottori in rapporto alla popolazione ed un sistema ospedaliero largamente diffuso e disponibile gratuitamente per tutti i cittadini.

Quali sono state le prime contromisure prese dal governo?

Rob Content: Il governo si è rivolto immediatamente a scienziati, esperti e ad agricoltori che praticavano la permacultura, tutte persone che aveva capito in anticipo i rischi e la vulnerabilità dell’agricoltura convenzionale. I cittadini sono stati aiutati nel dare vita ad orti urbani. I vecchi hanno insegnato come arare la terra con i buoi, mentre esperti di permacultura venuti dall’estero hanno insegnato la rotazione delle colture, i sovesci e forme naturali di controllo dei parassiti. Attraverso queste pratiche si è messo in atto un recupero dell’organicità dei terreni, demineralizzati da decenni di agricoltura intensiva. Nel giro di 4-5 anni i cubani hanno recuperato quasi interamente il peso perso.

Il governo ha cercato anche di implementare il sistema pubblico dei trasporti. Ad esempio c’erano veicoli governativi che giravano continuamente raccogliendo gente e portandola a destinazione. Da ultimo è stata abbracciata una filosofia di trasporti a basso impatto energetico, quali biciclette e carretti trainati da cavalli ed asini.

Poiché il maggior uso di combustibili fossili avviene in agricoltura, possiamo tranquillamente affermare che in una tipica situazione di picco petrolifero, la produzione di cibo sia il singolo aspetto più importante. Cosa fece Cuba al proposito?

Anzitutto i cubani hanno da subito iniziato a mangiare meno carne poiché, come sappiamo, la produzione industriale di carne richiede un’enorme quantità di cereali per l’alimentazione delle bestie, e i cereali servivano invece per l’alimentazione umana. Poi il governo cercò di incentivare fattorie private e cooperative, premiando quelle che erano più efficienti. A sottolineare l’importanza del cibo c’è il fatto che, durante il Periodo Especial, i contadini divennero la classe meglio pagata, più di ingegneri e responsabili governativi.

Un aspetto del documentario che mi ha colpito sono stati gli orti urbani…

Rob Content: Già a metà anni ’90 L’Avana era autosufficiente per la produzione di frutta ed ortaggi. È chiaro che l’autosufficienza di frutta ed ortaggi non significa autosufficienza alimentare, ma è comunque un risultato notevole, anche perché frutta ed ortaggi sono alla base di una alimentazione sana. Gli orti urbani sono molto importanti perché consentono a chiunque di acquisire conoscenza su come coltivare e preservare cibo. L’orto urbano, anche per le sue piccole dimensioni, si presta inoltre al baratto e a scambi tra cooperative a livello di strada o quartiere. Tutto questo evita gli sprechi di una filiera lunga e al tempo stesso fa crescere la fiducia nelle capacità di ognuno,. nonché i rapporti di solidarietà tra i cittadini. È un’agricoltura fatta di sostenibilità e di rapporti umani.

Che tipo di agricoltura si pratica a Cuba oggi?

Rob Content: Circa l’80% della produzione agricola cubana è organica, la percentuale più alta al mondo. Per contro, poiché le difficili condizioni del Periodo Especial sono terminate, Cuba ha oggi accesso, ad esempio, al petrolio venezueleano. Ciò significa che i cubani sono in grado di apprezzare gli incredibili vantaggi portati dai combustibili fossili, ma con una grande consapevolezza della loro natura limitata. Il petrolio viene utilizzato in maniera sobria ed intelligente. Non viene sprecato.

Con il picco Cuba ha avuto frequenti blackout elettrici. Quali furono i problemi principali e come hanno reagito i cubani?

Megan Quinn Bachman: I blackout sono stati anche di sedici ore al giorno ed anche per più giorni alla settimana. Questo non è solo un inconveniente, un semplice fastidio temporaneo, ma piuttosto un problema permanente. I problemi principali erano legati alla refrigerazione, alla cottura del cibo ed alla disponibilità di acqua. Mancanza di refrigerazione significò niente più cibo congelato, carne, latticini, ma piuttosto frutta e ortaggi. Cucinare senza elettricità era difficile e molto cibo si mangiava crudo, e dunque anche qui grande consumo di frutta e verdura. La mancanza di acqua fu un grosso problema, soprattutto per coloro che abitavano nelle città, poiché se non c’è elettricità per far funzionare le pompe, l’acqua non arriva negli appartamenti. L’acqua si portava a mano con i secchi. Senza elettricità non era possibile usare aria condizionata né ventilatori, un problema non da poco visto il clima tropicale.

Per le attività commerciali le difficoltà erano anche maggiori, perché senza elettricità non si poteva fare quasi nulla.

Io credo che il motivo principale per cui i cubani furono in grado di affrontare questi problemi con solidarietà piuttosto che cercando di approfittarsi l’uno dell’altro, sia da ricercare nel fatto che il Periodo Especial ha colpito tutte le classi sociali e non solo alcune. Tutti erano consapevoli del dramma che stavano vivendo.

Che tipo di trasporti utilizzavano ed utilizzano oggi?

Megan Quinn Bachman: I trasporti erano e sono in gran parte pubblici. Con il picco petrolifero artificiale si sono sviluppate forme di trasporto alternative, come ad esempio grosse motrici che trainavano “cammelli” che contenevano fino a 300 persone. I camion diventarono mezzi di trasporto pubblici a prezzi irrisori. Si faceva l’autostop. Nelle zone di campagna si iniziò ad utilizzare trazione animale: carretti trainati da cavalli e buoi. Ovviamente si camminava ed il governo distribuì più di un milione e mezzo di biciclette. Oggi si assiste lentamente ad un ritorno di auto private, ma i numeri sono comunque di molto inferiori rispetto al periodo precedente il picco artificiale.

Con il picco ci sono state violenze o tensioni sociali?

Megan Quinn Bachman: All’inizio del Periodo Especial c’è stato un aumento minimo dei crimini, soprattutto ruberie di poco conto. Ci furono anche pressioni politiche affinché il Governo si aprisse all’economia privata. La mortalità non aumentò e le cose non andarono così male come ci si poteva aspettare. Direi che ciò che ha salvato Cuba è stata proprio la coesione a livello sociale; coesione che ha mantenuto sicuri i quartieri, che ha aiutato vecchi, donne e bambini – i membri più deboli di una società – e che ha permesso di sviluppare risorse locali, come nel caso degli orti urbani di quartiere.

Che altro avrebbe potuto fare il governo?

Megan Quinn Bachman: Il Governo ha sostenuto tutte le iniziative che partivano dal basso, dal popolo, come ad esempio permettere a chiunque fosse in grado di produrre cibo di venderlo. È possibile che aperture più audaci avrebbero potuto incrementare la vitalità dell’economia. Invece il Governo, a parte nel settore del turismo, ha mantenuto un’economia statale, che nella maggior parte dei casi è inefficiente ed anche molto energivora.

Nel documenatario sono stato colpito soprattutto dalle parole di Patricia Allison e di Bruno Enriquez. Patricia Allison ha detto: “La soluzione non è la tecnologia, sono i rapporti umani”. Bruno Enriquez ha detto: “Il mondo non ha bisogno di più energia, ma di più amore, più solidarietà, più amicizia”…

Megan Quinn Bachman: È esattamente il messaggio che vogliamo trasmettere con il nostro film. Le difficoltà portate dal picco e dal riscaldamento del clima, le varie ingiustizie e sperequazioni tra paesi poveri e ricchi, si risolvono attraverso la comunità, cioè attraverso economie locali e interdipendenza sociale. La maggior parte della gente, degli esperti e dei politici, parla di trovare nuovi giacimenti, parla di energie alternative, di cattura dell’anidride carbonica, di case “verdi”… Ma il problema di fondo non è quello: il problema è mettere in discussione questo sistema economico e di vita, ricostruire i rapporti umani, avere un’altra visione del nostro posto nel mondo, affinché tutti possano usufruire degli immensi beni che la terra ci regala.

Quale è la situazione a Cuba oggi?

Megan Quinn Bachman: Secondo lo studio Living Planet del WWF, presentato nell’autunno del 2006, Cuba è il solo paese al mondo ad essere ecosostenibile. Secondo questo report Cuba riesce ad avere una popolazione generalmente in salute ed istruita e con un’aspettativa di vita a livelli occidentali, pur facendo un uso minimo di risorse naturali. Uno dei focus di Cuba è continuare ad abbassare la propria impronta ecologica, ri-forestare il paese, e concentrarsi su una sanità e un’istruzione di livello sempre più alto, accessibile gratuitamente a tutti.

Un timore recente è dato dal fatto che – poiché sono stati trovati giacimenti di petrolio al largo delle coste cubane – questo possa compromettere i risultati di sostenibilità raggiunti. Ma c’è la grande convinzione che i cubani, grazie alla consapevolezza che li contraddistingue, continueranno con uno stile di vita sostenibile.

Cosa pensi possa succedere nei nostri paesi occidentali con il raggiungimento del picco globale?

Megan Quinn Bachman: Anzitutto è giusto dire che l’esperienza di Cuba vuole essere un esempio, ma non la si può generalizzare. È impensabile che noi si reagisca esattamente come loro e questo per una serie di ragioni. Cuba è un paese tropicale ed un’isola. La sua economia non ha mai creato una borghesia ricca e quindi il gap economico tra le varie classi sociali è minimo. La vita di Cuba è stata ovviamente influenzata sin dagli anni ’60 dall’embargo statunitense e dai continui tentativi di sabotaggio ed intromissione nelle questioni del Paese.

Il nostro augurio è che l’atteggiamento del popolo cubano possa essere fonte di ispirazione per altre popolazioni. Ad esempio l’agricoltura locale è una delle prime cose da mettere in pratica: creare orti in giardini e terrazzi è una possibilità da sfruttare. Si possono utilizzare anche spazi e terreni pubblici inutilizzati o utilizzati per attività meno importanti della produzione di cibo. È chiaro che le differenze politiche, culturali ed economiche, produrranno risposte diverse in ogni paese. Ma ci sono valori quali la condivisione e la solidarietà, il dare importanza a cose quali il cibo ed uno stile di vita sano, avere un atteggiamento positivo, che sono validi a livello universale e che portano benefici a chiunque.

Quale messaggio volete dare ai nostri lettori per prepararsi al picco?

Rob Content: Il concetto del picco petrolifero rimanda ad un enorme cambiamento nei nostri stili di vita. È importante essere consapevoli che tali cambiamenti, oltre ad essere grandi, sono molto vicini nel tempo.

Nei nostri studi sul picco petrolifero abbiamo avuto modo di appurare che le nostre società occidentali non si stanno affatto preparando a tali cambiamenti. Direi che il primo passo da compiere è rendersi conto di tutto ciò e al tempo stesso semplificare in maniera graduale la nostra vita. Sono sicuro che i milioni di cubani che hanno sofferto la mancanza di cibo nei primi anni del Periodo Especial sarebbero d’accordo con noi.

È fondamentale cogliere l’importanza di un evento unico nella storia dell’umanità come il picco. Ci sono libri, documentari, siti e blog per informarsi. Ad esempio partecipare ad una conferenza è un modo semplice per imparare molto ed in poco tempo. Il problema è che la nostra società nega il picco, nel senso che nega le conseguenze che questo porterà. Anche per questo crediamo molto nel nostro lavoro di divulgazione.

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