Ecologia Profonda, ovvero: alla radice del problema ecologico
L’ecologia profonda, nata negli anni ’70 dalle intuizioni del filosofo norvegese Arne Naess, è in realtà la riscoperta di una visione dell’esistenza molto antica, che potrebbe aiutarci a superare l’attuale dramma ecologico (e non solo). Ecco cosa ci dice al proposito Guido Dalla Casa, autore del libro “Ecologia profonda”. (Pubblicato su: Aam Terra Nuova, Dicembre 2009)
Comunemente si parla di ecologia o di ambientalismo. Lei invece opera una distinzione fondamentale tra ecologia di superficie ed ecologia profonda. Quali sono le differenze?
Con i termini “ecologia” e “ambientalismo” si intende di solito lo stesso significato di quella che è stata chiamata “ecologia di superficie”.
L’ecologia di superficie mantiene l’attuale visione di fondo della cultura occidentale, antropocentrica e materialista, o comunque con uno spiccato dualismo fra spirito e materia. Si preoccupa soltanto di preservare l’ambiente a beneficio dell’uomo, cerca di salvare qualche isola di Natura perchè l’uomo vi si possa ricreare. In sostanza raccomanda di mettere qualche filtro e depuratore e continuare tutto come prima. Non intacca il concetto di progresso, tanto radicato da due o tre secoli nella cultura occidentale.
Invece l’ecologia profonda è una visione del mondo a sfondo panteista, in cui viene dato un valore in sè a tutte le entità naturali, che hanno diritto ad una vita autonoma e dignitosa, a qualche forma di autorealizzazione. L’umanità è una specie animale e ha un valore in sè in quanto entità naturale.
Per l’ecologia profonda non esistono fenomeni isolati, perchè tutto è interconnesso.
Le visioni del mondo si possono essenzialmente ridurre a tre: quella occidentale, quella orientale e quella animista che appartiene ai popoli nativi. Può delinearci le differenze di fondo?
Le visioni del mondo sono tante quante sono le culture umane, cioè circa cinquemila, o meglio sono tante quanti sono gli esseri senzienti. Tuttavia, per capirsi, è necessario schematizzarle in alcuni gruppi e il modo più semplice è dividerle in tre gruppi:
Le culture di tipo occidentale sono quelle che hanno come mito delle origini la Genesi dell’Antico Testamento, fiorite originariamente in Europa e nel Medio Oriente. Esse hanno in comune:
*un atteggiamento di sopraffazione sul resto della Natura, considerata al servizio della nostra specie;
*l’idea dell’espansione: infatti vogliono convertire tutto il mondo al proprio sottofondo culturale;
*una percezione lineare del tempo;
*la convinzione che esista un’unica verità.
Le culture di tipo orientale, fiorite soprattutto in Asia, con tre filoni principali: il Buddhismo, l’Induismo e il Taoismo. Sono caratterizzate da:
*l’idea dell’Essere come immanenza cosmica, tranne che nel Buddhismo dove si arriva al superamento di ogni dicotomia, comprese quelle di immanenza-trascendenza e di Essere-Nulla;
*l’importanza fondamentale attribuita all’idea di equilibrio sia interiore sia cosmico-naturale;
*la ricerca della serenità mentale come scopo essenziale;
* una percezione ciclica del tempo.
Le culture di tipo animista, fiorite in tutto il mondo per decine di millenni. Erano caratterizzate in genere da un’integrazione completa nell’ambiente naturale e climatico in cui vivevano e di cui si sentivano parte inscindibile. Elaboravano complesse metafisiche legate al mondo naturale. Per le culture animiste il mondo è un flusso di forze psichiche ed il ciclo vitale umano deve integrarsi nel ciclo più grande di vita-morte dell’Universo.
In generale si può affermare che sia la visione orientale che quella animista appartengono alla sfera dell’ecologia profonda. E’ giusto?
Non completamente, anche se la visione dell’ecologia profonda è reperibile soltanto in molte culture di tipo orientale o animista ed è assente nelle culture di tipo occidentale.
Lei afferma che alla radice dell’atteggiamento culturale di una civiltà c’è il mito delle origini. Il mito delle origini della tradizione ebraico-cristiana è quello dell’Antico Testamento. Come ha influenzato la nostra cultura?
La Genesi dell’Antico Testamento influenza ancora oggi pesantemente la nostra cultura: basta pensare alla spaventosa e ingiustificata contrapposizione uomo-animale, al dualismo fra Creatore e creatura (anche il materialismo deriva da questa contrapposizione, basta togliere qualcosa di già separato), all’idea che il mondo naturale sia al servizio della nostra specie, alla separazione fra lavoro e tempo libero, al ritmo settimanale di moltissime attività.
L’atteggiamento distruttivo appartiene dunque al nostro mito delle origini. Se fino ad oggi non abbiamo distrutto più di tanto è stato solo per una mancanza di capacità tecnico/tecnologica in tal senso.
La capacità tecnico-tecnologica è nata quando, dopo Cartesio, Bacone e altri, l’uomo occidentale ha visto un mondo solo inerte e si è sentito in dovere di dominarlo a proprio vantaggio: è mancata completamente la percezione sistemica e l’idea che “noi siamo Natura”.
La manipolazione tecnica è stata resa possibile e desiderabile da quando Cartesio ha definito ciò che non è umano soltanto “materia bruta”: cioè privo di anima. E’ l’idea della manipolazione del mondo che ha reso possibile la tecnica nelle quantità presenti oggi.
La civiltà contemporanea si dibatte nel dramma ambientale e sembra che i vari tentativi, anche in buona fede, di tappare le falle provocate dal sistema non servano a nulla. Perché secondo lei?
Il dramma ambientale è inevitabile con le premesse culturali dell’Occidente e il potere tecnico che si è dato negli ultimi due secoli. “Tappare le falle”, come cerca di fare l’ecologia di superficie, serve soltanto a prolungare la situazione attuale, probabilmente aggravandola per il persistere dell’idea di crescita permanente.
Ad esempio, la biovarietà, cui non viene assegnato alcun valore intrinseco dall’ecologia di superficie, è indispensabile perchè l’Ecosistema possa vivere a tempo indefinito, quindi è necessaria anche per la nostra sopravvivenza.
Il problema di fondo di tutti i movimenti ecologisti è che essendo figli della cultura occidentale che li ha generati, operano in superficie (fotovoltaico, eolico, biocarburanti ecc.) non riuscendo così ad intaccare la radice del problema. E’ d’accordo?
Sono completamente d’accordo. I movimenti ecologisti “di superficie” non riescono a vedere il problema alla radice, anche perchè cercano di ottenere un certo “consenso”, cioè di avere un buon numero di seguaci, e il séguito numerico non è compatibile con un radicale cambiamento di paradigma. Qualche speranza può nascere solo da piccole minoranze.
Come colloca dunque i tentativi di “salvare il mondo” attraverso questo atteggiamento?
La tecnica e la tecnologia, da sole, non possono certamente “salvare il mondo”. Occorre un profondo mutamento filosofico, del tipo di quello portato avanti dall’ecologia profonda.
Ciò non significa che la tecnica e la tecnologia siano sempre dannose, o inutili. Anzi, con premesse diverse, possono rivelarsi anche molto utili, soprattutto nel transitorio di passaggio verso un’indispensabile situazione stazionaria: si tratta di valutare ogni problema da un punto di vista globale, o sistemico. Di certo è fondamentale rendersi conto che la Terra non può supportare più di due-tre miliardi di umani, e soprattutto abbandonare la mania della crescita economica.
Il nostro modello culturale è l’unico sviluppatosi nel corso della storia che in un certo senso ha in sé la certezza della fine. Eppure non riusciamo a distaccarcene. Perché?
La crescita esponenziale dei beni materiali rende certa la fine di questo modello culturale, ma fino ad ora è stata vista come desiderabile o come “progresso”; l’inerzia è così forte che non è possibile abbandonare in tempo quella crescita patologica che spinge la nostra civiltà da due secoli. La reazione abituale della psiche alle novità sgradite è la negazione, anche davanti all’evidenza.
L’ecologia profonda utilizza un vocabolario differente rispetto a quello di uso comune. Non “ambiente” ma “complesso dei viventi”, non “danno ambientale” ma “alterazione al Complesso dei Viventi”, non si utilizzano parole come battaglia né lotta. Anche nel vocabolario di molti popoli naturali questi termini non esistono. Quanto può essere importante in questo senso il potere della parole?
Il potere delle parole e dei significati che sottendono è molto più forte di quanto si pensi comunemente. Come esempio, si continua a dire “bestiale” per indicare qualcosa di negativo! Per quanto riguarda l’ambiente, si dà questo nome a un complesso di venti milioni di differenti specie di esseri senzienti e a tutte le reciproche interrelazioni, come se tutto questo Complesso fosse soltanto “l’ambiente dell’uomo”!
Gran parte dei tentativi di affrontare i problemi ambientali sono determinati dalla paura (dei cambi climatici, della deforestazione ecc.). Quanto un comportamento determinato dalla paura può portare a qualcosa di positivo? Non pensa si dovrebbe più semplicemente tornare a parlare di amore per la vita, per la Natura, per la Terra?
Certamente. L’amore per la Natura e per la Terra è amore verso l’Organismo psicofisico di cui facciamo parte: occorre rendersi pienamente conto e “sentire” che noi siamo un componente di qualcosa molto più grande (l’Ecosistema). Se questo Ecosistema è in buona salute, lo siamo anche noi. La paura può comunque costituire un innesco per prendere qualche provvedimento “pratico”, anche se chiaramente non è sufficiente. Inoltre, nei fenomeni che avanzano con una legge matematica esponenziale, quando si nota qualche effetto, manca poco alla fine, per il raggiungimento di limiti invalicabili.
Come si arriva ad un approccio olistico che superi l’attuale visione meccanicista e riduzionista dell’esistenza? Cosa possiamo fare tutti noi che siamo figli di questa cultura da questo punto di vista nell’immediato?
Una speranza viene da alcune tendenze nate di recente nella scienza moderna (teoria dei sistemi, fenomeni mentali, fisica quantistica, psicologia transpersonale, medicina olistica) anche se la scienza “ufficiale” fa il possibile per ignorarle e restare fedele al vecchio paradigma materialista-meccanicista-riduzionista.
L’azione forse più efficace che possiamo fare è diffondere informazioni, mettere in dubbio idee preconcette che vengono comunemente accettate in modo acritico solo perché respirate fin dalla nascita, e quindi considerate ovvie, ma imposte di fatto dalla cultura dominante. Possiamo poi dare l’esempio nel ridurre i consumi, che sono una delle cause dei guai e non portano alcun benessere reale. Inoltre, possiamo considerare come degni di valore tutti gli esseri senzienti.
Abbiamo parlato di distruzione ambientale, ma in realtà tutti i “problemi” nei quali si dibatte la società contemporanea (parlo di stress, nevrosi, depressione, violenza, aggressività anche verbale, suicidi, infelicità. Più in generale una “non gioia di vivere”. Nessuno sorride più) hanno una matrice comune che può essere individuata nel distacco psicofisico dalla natura. E’ d’accordo?
Sono completamente d’accordo. Il distacco psicofisico dal mondo naturale è la causa dei guai anche dentro di noi. A questo riguardo può aiutare l’approccio a questi problemi fornito dall’ecopsicologia, disciplina assai recente, almeno in Italia.
Nel nostro mondo l’idea comune è che la competizione sia il processo dominante in natura. Ma in realtà in natura (così come tra i popoli naturali) vige molto più il cooperativismo della competizione. Cosa può dirci in tal senso?
L’affermarsi della teoria darwiniana della “lotta per la vita e la sopravvivenza del più adatto” è dovuta più alle idee dominanti nella civiltà industriale dell’Ottocento che a prove vere e proprie. Così si è rafforzata anche l’idea che la competizione economica, che è una delle cause dei nostri guai, sia una specie di “molla del progresso”.
Ciò non significa che la competizione in natura non esista, ma non è l’aspetto principale. La teoria di Gaia, soprattutto nella formulazione di Lynn Margulis, attribuisce l’evoluzione biologica più alla simbiosi e alla cooperazione che alla competizione. Non dimentichiamo che l’evoluzione era stata teorizzata dal naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck cinquant’anni prima di Darwin, anche se con modalità diverse e in forma meno completa.
Tom Hodgkinson sostiene che c’è anche un’ecologia del non-fare. In fondo anche l’idea che noi si debba “fare” qualcosa per salvare la Natura, rientra in quel paradigma che appartiene alla nostra cultura. La Natura fa da sé.
In effetti la Natura è qualcosa di molto più grande di noi, e alla lunga aggiusterà tutto, ma troppo alla lunga: i suoi tempi sono assai diversi dai nostri e non abbiamo alcun diritto di forzare le cose come stiamo facendo in questo determinato periodo storico, causando inoltre una forma di malattia, o di sofferenza, al Complesso dei Viventi.
Secondo Lao-Tse, “pur non facendo nulla, non c’è nulla che non venga fatto”, cioè il comportamento più saggio è agire, o non-agire, secondo l’ordine naturale delle cose.
Oggi però la situazione è così grave che sembra opportuno tentare qualcosa per rimediare almeno in parte ai notevoli guasti già fatti: siamo andando a trecento all’ora e ci troviamo improvvisamente davanti un muro. Se almeno tentiamo di frenare forse ce la caviamo con un lungo periodo di ospedale.
La stragrande maggioranza delle culture apparse sulla faccia della terra erano culture pacifiche, non aggressive, non espansioniste, non materialiste. Ma ne basta una che parte dai presupposti opposti per fare fuori e/o fagocitare tutte le altre, come effettivamente è accaduto e anche in un lasso di tempo piuttosto breve. E’ d’accordo?
Sostanzialmente sono d’accordo. Anche se ci sono state altre culture espansioniste, non avevano certamente un potere tecnico paragonabile a quello della civiltà industriale odierna, che ha inoltre la pretesa di “migliorare il mondo” e portare “il benessere”.
Mi ha sempre fatto riflettere il fatto che l’Africa, culla delle culture animiste, non abbia mai conosciuto guerre prima che arrivassero il colonialismo ed i nostri missionari da un lato, i mussulmani dall’altro. In meno di due secoli, e con una escalation terrificante negli ultimi 2-3 decenni, siamo arrivati al Ruanda e a tutto il resto. Ma quella non è più Africa. Cosa può dirmi al riguardo?
Anche se in passato esistevano piccole guerre, l’Africa è forse oggi il continente in situazione più grave. Alcune valutazioni dicono che è scomparso il 90% degli esseri senzienti presenti due secoli orsono. Per contro ci sono stati un mostruoso incremento di popolazione umana e una disgregazione culturale spaventosa. I resti sbandati di queste ex-culture si riversano dove possono, cercando di copiare i modelli della cultura dominante.
La teoria di Gaia rientra appieno in una visione tipica dell’ecologia profonda…
Si. Anche se la teoria di Gaia non esclude completamente un eventuale sottofondo materialista (se vista in modo esclusivamente sistemico), in genere Gaia è considerata dotata di Mente, che emerge inevitabilmente in un sistema oltre un certo grado di complessità. E’ quindi una teoria che rientra nel quadro dell’ecologia profonda.
La nostra visione del mondo percepisce la terra come un serbatoio senza fondo di materie prime al nostro servizio, mentre tutte le culture del passato hanno sempre considerato la terra viva e dunque sacra, con uno spirito.
Le culture non-occidentali, con qualche eccezione, consideravano la Terra viva, e quindi sacra, vedevano il Grande Spirito immanente nella natura, oppure la Natura stessa come un flusso continuo di forze psichiche (gli “spiriti”). L’intermediazione con il metafisico era di solito ottenuta soprattutto da persone dotate, o sotto l’effetto di sostanze particolari, che ampliavano le proprie percezioni, o la propria coscienza, fino a sentire profondamente di far parte di qualcosa di più grande. Dare di nuovo un’Anima al mondo contribuirebbe non poco a far cessare lo sconsiderato sfruttamento che ha portato all’attuale tragica situazione.
Come si può superare questa visione dell’sistenza che ci fa percepire il mondo come un’entità priva di anima e al nostro servizio, come un serbatoio di risorse a disposizione dell’essere umano?
Questa visione si può superare con modifiche di pensiero molto profonde, “riscoprendo” Spinoza, Bruno, Leibniz e altri per sostituire Cartesio e Bacone. Oppure ritrovando visioni animiste, o con qualche avvicinamento a forme di Buddhismo filosofico. Tra l’altro, l’approccio scientifico di derivazione newtoniana è ampiamente superato dalla scienza d’avanguardia degli ultimi cinquant’anni, ma la scienza “ufficiale” resiste disperatamente sui vecchi paradigmi, anche a costo di negare constatazioni e risultati sperimentali.
Purtroppo per le modifiche di paradigma che riguardano il pensiero corrente, ma anche la scienza, occorrono tempi molto lunghi.