L’energia, la termodinamica e la mela

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NOTA: scrissi questo articolo a fine 2007. Mi sembra ancora di straordinaria attualita’ per capire la situazione (ambientale, sociale, economica, ecc.) in cui ci troviamo. Per questo motivo ho voluto riproporlo. Buona lettura.

Il problema del surriscaldamento terrestre, con tutti i suoi annessi e connessi di conseguenze devastanti, è una priorità per l’intero pianeta. E difatti oramai nessuno più lo nega, se è vero che persino il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, che si è sempre distinto come il più tenace avversario del trattato di Kyoto, ha recentemente dato mandato ad un pool di esperti di produrre un rapporto definitivo e circostanziato sullo stato del pianeta (come se ci fosse bisogno dell’ennesimo documento).

Preso atto del problema è ora di passare alle proposte per risolverlo. E qui cominciano subito i guai perché le proposte e i rimedi sono sempre gli stessi: energie alternative, verdi, rinnovabili, sviluppi sostenibili, tecnologie pulite ecc.

Poiché nel campo dell’energia la confusione regna sovrana, viene spontaneo domandarsi se questa confusione sia volontaria o meno, perché a rigor di semplice logica pare impossibile che tutti si siano dimenticati delle leggi della termodinamica ed in particolare della seconda, quella relativa all’entropia.

Le leggi della termodinamica, formulate compiutamente nel diciannovesimo secolo, sono le leggi che governano l’energia e, poiché la vita sulla terra è possibile grazie all’energia, governano in ultima istanza la vita stessa.

LA SECONDA LEGGE DELLA TERMODINAMICA E L’ENTROPIA

Riassumiamo brevemente: la prima legge della termodinamica, detta anche legge della conservazione, dice che l’energia presente nell’universo è costante dall’inizio dei tempi e così sarà fino alla fine. L’energia non può essere creata né distrutta (“nulla si crea e nulla si distrugge”), ma solo trasformata. Questa energia trasformata ed utilizzata che fine fa? Dove va, se non si distrugge? Qui ci viene in soccorso il fisico tedesco Rudolf Clausius che nel 1868, riprendendo un esperimento fatto dal francese Sadi Carnot sulla perdita di calore nei flussi delle macchine a vapore, introdusse il concetto di entropia e soprattutto estese il principio alla trasformazione di qualunque tipo di energia.

Per il secondo principio della termodinamica, poiché l’energia trasformata va in una sola direzione (da utilizzabile a inutilizzabile, da ordinata a disordinata, da calda a fredda, da concentrata a dispersa) e poiché nulla si distrugge, questa energia trasformata rimane in circolo sotto forma di entropia. L’energia immessa nel sistema, una volta utilizzata, diviene entropia.

Ogni forma di vita comparsa sul pianeta, incluso ovviamente tutto ciò che l’uomo ha fatto, fa e farà nel corso della storia, non è altro che trasformazione di energia da uno stato all’altro. L’entropia presente nel sistema è dunque in costante aumento dall’inizio dei tempi. Il problema non è tanto l’aumento dell’entropia, un fenomeno di per sé naturale e inevitabile, bensì di quanto ed in quali tempi questa entropia si trovi ad aumentare.

Per dare una definitiva e immediata definizione dell’entropia, possiamo dire, con le parole del saggista statunitense e mio buon amico James Howard Kunstler, che “essa altro non è che il sottoprodotto negativo, che si esprime in varie forme, dell’utilizzo di energia”.

Quali conseguenze ha l’entropia sul sistema? E soprattutto, come si manifesta?

L’entropia si manifesta in maniera estremamente caotica, in una miriade di differenti modi, moltissimi dei quali peraltro non percepibili, perlomeno nell’immediato, dall’uomo.

I cambiamenti climatici sono ad esempio una manifestazione di entropia, ma a livello sistemico virtualmente ogni accadimento “negativo” lo è. Lo sono le guerre, gli incidenti stradali, le stragi nelle università, la crescente scarsità d’acqua, la perdita di valori, il disordine sociale, la depressione, i film violenti e chi più ne ha più ne metta. Tutto ciò che accade di “negativo” è di fatto figlio, o nipote o bisnipote, di una immissione di energia nel sistema: è entropia.

E poiché l’entropia è direttamente proporzionale al grado di immissione di energia nel sistema, ne consegue che tanto maggiore è la quantità di energia immessa, tanto maggiore sarà l’entropia che il sistema dovrà sopportare.

LA MELA

Ad esempio una mela importata dal Cile è più “entropica” rispetto a quella che cogliamo nel giardino di casa o di quella del contadino biologico a pochi chilometri da noi. Vediamo il perché provando a seguirne la filiera energetica (con la certezza di perderne diversi passaggi lungo la strada, poiché, come già detto, l’entropia opera in modi a volte misteriosi. Almeno per l’uomo).

Una mela prodotta in Cile necessita anzitutto di un elevato input energetico sotto forma di fertilizzanti, concimi chimici, pesticidi, erbicidi, nonché di irrigazione intensiva, che congiuntamente hanno permesso una iperproduzione che ha a sua volta reso possibile l’abbattimento del costo della singola mela (le mele trattate non marciscono, non vengono mangiate dagli animali, l’albero ne produce “100” anziché “20” ecc.). L’energia necessaria all’abbattimento del costo della mela, determina un primo rilascio entropico nel sistema: inquinamento del suolo, delle falde acquifere, lavoratori che possono ammalarsi a contatto con sostanze tossiche, ma, risalendo a monte, anche fabbriche che hanno costruito quei fertilizzanti ed erbicidi e pesticidi contenuti in bottiglie di plastica, che hanno a loro volta immesso energia nel sistema sotto forma di inquinamento e di utilizzo di energia (petrolio in primis) per il quale si sono fatte guerre, ucciso persone, prodotto armi che per la loro produzione, trasporto, utilizzo ecc., hanno a loro volta richiesto un enorme input energetico e contestualmente determinato un rilascio entropico.

Irrigazione intensiva significa anche diminuzione delle riserve d’acqua: altra entropia.

Poi le mele vengono caricate su un camion, trasportate (possono esserci incidenti stradali e comunque a monte c’è una estrazione-trasporto-lavorazione di tutte le componenti necessarie per costruire i mezzi di trasporto), caricate su una nave-cargo e trasportate in Italia o in qualunque altro paese del mondo. Ci sono procedure di sdoganamento e quindi tutta una struttura addetta che necessita di energia, controlli alimentari (altra struttura addetta), assicurazioni (altre, grandi, strutture addette), altri trasporti grazie ad altri camion, fogli vari (fatture, bolle, documenti ecc.). Dov’è l’entropia? Nel taglio di alberi necessari a rifornire di carta tutti gli apparati di cui sopra, ma anche in possibili incidenti stradali e comunque nell’inquinamento che si può manifestare in differenti forme: nella polizia che è lungo la strada, nei controlli, nelle celle refrigerate, nei distributori e sottodistributori di mele, nei supermercati, nelle buste di plastica, nelle confezioni di polistirolo, negli scontrini del registratore di cassa, negli addetti del supermercato, nei commercialisti che tengono la contabilità, nei volantini delle offerte, a volta anche nelle agenzie pubblicitarie se le mele sono pubblicizzate. Insomma, in quel mostruoso ambaradan che abbiamo costruito, cioè nella complessità e ipercomplessità della società moderna.

 Ma non è finita qui. Poi ci siamo noi, i consumatori. E qui l’entropia, conseguenza dell’enorme immissione energetica nel sistema per produrre la mela, si può manifestare sotto forma di iperlavoro, di incolonnamenti in auto, di stress e depressione, di tensioni in famiglia perché siamo tornati tardi a casa la sera (per via del troppo lavoro) o di difficili rapporti con nostri i figli per i motivi di cui sopra.

In aggiunta quella mela non è sana come quella naturale del giardino di casa e ci fara’ ammalare di piu’ con tutto un altro costo nergetico e quindi entropico (dottori, ospedali, medicine, ecc) comunque tutto l’inquinamento che ha provocato per arrivare fino alla nostra tavola sin dal Cile, ha causato un rilascio semplicemente incalcolabile di entropia di cui l’impatto ambientale non è che la sua forma esteriore più evidente. In breve ho descritto quell’artificio orribile che e’ la societa’ moderna.

Fermiamoci qui. Quanto sopra dovrebbe essere sufficiente a cogliere il concetto, e cioè che la mela prodotta in Cile, necessitando di una enorme quantità di energia per arrivare fin sulle nostre tavole, mette contestualmente in circolo una enorme quantità di entropia.

Ciò che conta è cogliere la differenza energetica e quindi entropica con la mela naturale raccolta nel giardino di casa.

Per concludere possiamo affermare che l’intera modernità, sviluppo, progresso o comunque si voglia chiamare tutto ciò, e la complessissima struttura atta a sostenerlo, è, a livello sistemico, un micidiale generatore di entropia.

 Ciò che dobbiamo tenere bene a mente è che ad ogni immissione di energia nel sistema corrisponde un equivalente rilascio di entropia. Se trasportiamo le mele con l’olio di colza invece che con il gasolio non risolviamo nessuno dei nostri problemi perché continuiamo comunque ad immettere energia nel sistema.

 Per questo, parlare di energie alternative è fuorviante. Perché il messaggio che ne viene fuori è che grazie alle energie alternative si possa, anzi si debba, continuare a mandare avanti l’attuale sistema economico e l’intera societa’ cosi’ come la conosciamo. In realtà, con le cosiddette “alternative’, a livello sistemico, non facciamo altro che alleggerire il sistema in un punto per appesantirlo in un altro; o in più altri. All’entropia non si sfugge.

 Se un miliardo di occidentali “progrediti” con tutte le loro progredite strutture, hanno portato la Terra sull’orlo del collasso (per rimanere all’entropia ambientale), che succederà quando i “progrediti”, con la crescita di Cina e India, saranno tre miliardi? Saremo salvati dal bioetanolo e dai pannelli solari?

Che fare dunque? Le leggi della termodinamica ci dicono chiaramente che se vogliamo mantenere possibile la vita sul pianeta Terra, la strada da prendere è una sola. Dobbiamo diminuire, decrescere, localizzare, consumare meno, produrre meno, girare meno. La decrescita è l’unica via possibile.

 L’uomo, se vuole salvarsi, deve uscire dalla logica delle crescite economiche esponenziali e degli sviluppi sostenibili (che sono entrambe un’invenzione umana; non esistono in natura), per avviarsi verso un’ecologia del “non fare” (imperdibili in tal senso i due libri di Tom Hodgkinson: “L’ozio come stile di vita” e “La libertà come stile di vita”, editi da Rizzoli).

Per questo, come dice l’ecologista Stephan Harding, “la soluzione è quella di fare meno, non di più. Invece di andare a Roma per una marcia di protesta o in giro per il mondo in aereo a seguire conferenze per il cambiamento climatico, stendetevi all’ombra sul fianco di una collina. Così facendo salverete la Terra e, forse, anche la vostra anima”.

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